C’è qualcosa di crudele in questo cupio dissolvi che sta disintegrando i partiti. È una sensazione di amarezza che coinvolge anche chi, essendone fuori, non può non riconoscere l’importanza che essi hanno avuto nell’immediato dopoguerra, quando c’era da ricostruire fisicamente e moralmente un paese a pezzi.

I partiti di Gramsci e di Berlinguer, di De Gasperi e di Sturzo, di Pertini e di Nenni, di Ugo La Malfa e di Saragat non ci sono più, inghiottiti dalla mediocrità (in taluni casi), dal ricatto (in altri), dall’imbroglio e dalle collusioni (in altri ancora) di chi è arrivato dopo.

L’ex leader della Democrazia cristiana Alcide De Gasperi. Sopra: Beppe Grillo

Ci saremmo accontentati di uomini con la u minuscola, ma almeno uomini; ci siamo ritrovati un pugno di trasformisti e di opportunisti che sono riusciti a fagocitare i galantuomini che si trovano all’interno di quel sistema e che purtroppo non sono riusciti ad imporsi, chiudendo gli occhi, le orecchie e la bocca per paura, per quieto vivere, per ambizione.

E vi confessiamo che assistiamo a tutto questo con tristezza: chi guarda dall’esterno dei partiti, quel cupio dissolvi forse lo percepisce meglio rispetto a chi, essendoci dentro fino al collo, è troppo preso dal delirio di onnipotenza per capire.

Grillo ha ragione. Dobbiamo ammetterlo. Pur avendo torto su alcuni temi che riguardano il suo movimento, specie quando parliamo di democrazia interna e di inesperienza di molti ragazzi del 5S, ha ragione da vendere – non è il primo, ma è il primo ad aver costruito un movimento che è a un passo dal governo italiano – quando parla della distruzione di questo Paese causata dai partiti.

Enrico Berlinguer, ex segretario del Pci

Luoghi bellissimi divorati dal cemento e sbriciolati dalle frane; stragi e delitti impuniti di magistrati, di giornalisti, di sindacalisti, di medici, di donne, di bambini, di altri politici di valore come Moro, Mattarella e La Torre; periferie violente perché costruite secondo gli interessi economici di pochi e non secondo le esigenze di tutti; coscienze comprate con un piatto di lenticchie; veleni nascosti sottoterra in alcune regioni del Sud; banche al servizio dei potenti; gente morta per cancro e per leucemia, per malformazioni, per malattie invalidanti causate da fabbriche inquinanti e poli petrolchimici dislocati in tutta Italia; gente sempre più ricca e gente sempre più povera.

Una distruzione che non inizia ora, ma dopo il tramonto dei fondatori dell’Italia del dopoguerra, quando gli Andreotti, i Craxi, i Gava prima; i Berlusconi, i Dell’Utri, i Verdini dopo si sono impadroniti della Nazione con la complicità di una sinistra che invece di imporre una politica ispirata ai suoi Padri nobili, è diventata funzionale al sistema della corruzione e della mafia. Inutile parlare delle bicamerali, degli inciuci alla Regione Sicilia, delle leggi votate insieme alla destra: risparmiamo ai lettori quello che già sanno e di cui saranno pure disgustati.

Ma quello che è avvenuto in questi giorni con la votazione a colpi di fiducia di una legge ritenuta incostituzionale come il Rosatellum (dopo quelle bocciate dalla Corte costituzionale) ha dato il colpo di grazia.

Pietro Grasso, presidente del Senato

I sintomi che ormai siamo alla frutta sono due: le dimissioni dal Pd di un personaggio moderato come il presidente del Senato, Pietro Grasso, e il messaggio lanciato da un grande giornalista di sinistra come Saverio Lodato a Claudio Fava dalle pagine online di Antimafia 2000. Un appello molto interessante – che invitiamo a leggere – perché rappresenta l’ulteriore segnale che ormai per i partiti ce n’è per poco. Lodato chiede a Fava di fare appello ai suoi elettori di votare per il candidato del Movimento 5 Stelle, Giancarlo Cancelleri. Una cosa che in un altro momento sarebbe stata inaudita per lo stesso Lodato, ma che oggi – per lui stesso – rappresenta una speranza, o meglio: la speranza di mandare a casa questa partitocrazia.

A proposito di Fava.

Il terzo segnale del cupio dissolvi è la presenza di Massimo D’Alema al suo fianco nella campagna elettorale in Sicilia. D’Alema sarà pure una persona intelligente (molto), ma l’elettorato meno smemorato della sinistra non dimentica: a) che è stato l’autore dell’inciucio in bicamerale con Berlusconi; b) che non ha mosso un dito quando, nel 1996, Bertinotti fece cadere il governo dell’Ulivo di Romano Prodi, di cui lo stesso D’Alema prese il posto come presidente del Consiglio; c) di essere stato uno dei maggiori avversari della Rete (parliamo del “fuoco amico” proveniente dal fronte dei progressisti) di cui Claudio Fava è stato tra i fondatori. Dire che il “leader maximo” è ancora una risorsa della sinistra significa raffreddare le passioni e gli ardori di chi ha sempre creduto nelle battaglie di Fava.

Oggi i comizi di Fava in Sicilia – sarà una nostra impressione – non sempre sono apprezzati come un tempo. Sono sì carichi di lucidità e di passione, ma non “bucano”. Perché? Perché Claudio – pur svolgendo un egregio lavoro a Roma come parlamentare e come vice presidente della Commissione parlamentare antimafia – è assente dalla sua città e dalla sua Terra da almeno un decennio per dei motivi umani che rispettiamo, ma che politicamente riteniamo incompatibili con un elettorato che da sempre si spende per le battaglie civili portate avanti dal figlio di Giuseppe Fava.

Grillo ha ragione anche per aver capito che anche i migliori esponenti dei partiti – quelle persone perbene cui abbiamo accennato poc’anzi – a volte sono pervasi da logiche perverse che li portano a scantonare dalla strada maestra e a distruggere un progetto. Non per disonestà intellettuale, ma per una mentalità ormai sedimentata nel Dna di tanti. Che impone a tutti – galantuomini compresi – una direzione diversa da quella giusta.

Basta frequentare la sede di un partito per qualche ora: per un po’ (quando va bene) senti parlare di programmi, di futuro e di valori, dopodiché senti discettare di correnti, di leadership, di assessorati, di sottogoverno, di come fregare la persona che siede accanto a te. Ecco perché Grillo dice: alleanze con nessuno. Un principio che in altri tempi abbiamo attaccato furiosamente, ma che – alla luce di quanto vediamo – si rivela vero. Un principio che i partiti, di destra e di sinistra, non fanno niente per contrastare. Un principio che solo il tempo ci dirà – qualora il M5S dovesse andare al governo della Sicilia e dell’Italia – se è dettato da esigenze di pulizia morale o da uno scarso senso di democrazia interna.

Luciano Mirone