“Ero in ritardo di un’ora rispetto al mio solito orario e forse lo sapevano anche quelli delle Iene, visto che sono comunque riusciti a incontrarmi. Mi hanno fatto domande a raffica sul caso Manca… volevano sapere tutto, tutto, tutto. Ormai, però, non sono più nemmeno in magistratura e non mi va di parlare ancora di questa vicenda”. Dunque all’ex Pubblico ministero di Viterbo, Renzo Petroselli, non va di parlare di uno dei casi più scandalosi degli ultimi decenni.

Scandaloso perché nessuno (soprattutto Petroselli) ha mai spiegato il motivo per il quale Attilio Manca è morto con due iniezioni di eroina al braccio sinistro (essendo un mancino puro), un setto nasale deviato, due labbra gonfie e due testicoli pieni di lividi e grossi come arance.

Attilio Manca. Sopra: l’ex procuratore di Viterbo Alberto Pazienti (a sinistra) e l’ex Pm Renzo Petroselli

Scandaloso perché scandalose sono state le indagini che lo stesso Petroselli, il suo ex procuratore Alberto Pazienti e l’ex capo della Squadra mobile Salvatore Gava, hanno condotto, avallati dal giudice per le indagini preliminari Salvatore Fanti, proponendo tesi inverosimili peraltro non confermate da riscontri scientifici.

Scandaloso perché Petroselli, secondo quanto riportato dal quotidiano online Tusciaweb, “si è sottratto alle domande” degli inviati della trasmissione Mediaset.

Scandaloso perché scandalosa è stata l’autopsia sul corpo del giovane medico siciliano eseguita dalla dottoressa Dalila Ranalletta. E per capire il livello di scandalosità dell’esame autoptico, basta cliccare nella parte destra dell’home page di questo giornale, dove alla voce Attilio Manca troverete l’intervista a puntate con uno dei più autorevoli docenti di Medicina legale della Sicilia.

Il Medico legale Dalila Ranalletta

Scandaloso perché nessuno ha mai chiesto alla Ranalletta (e Petroselli avrebbe dovuto farlo) perché nel suo referto ha omesso la descrizione del naso, delle labbra, del sangue e dei testicoli della vittima.

Scandaloso perché lo stesso Petroselli, prima di andare in pensione, ha blindato il processo “per droga” attraverso la proposta – accettata dal giudice monocratico – della non ammissione al dibattimento della famiglia Manca, che aveva chiesto di costituirsi parte civile nei confronti della donna che, secondo la Procura e il Gip, aveva ceduto ad Attilio Manca la dose di eroina che lo ha portato alla morte (senza prove anche in questo caso).

Scandaloso perché per ben otto anni Petroselli e il suo procuratore si sono ostinati a non ordinare il rilevamento delle impronte digitali sulle siringhe (tra l’altro con tappo salva ago e salva stantuffo ancora inseriti) trovate nell’appartamento di Attilio a pochi metri dal cadavere.

Scandaloso perché da quelle analisi non sono emerse impronte né di Attilio né di altri: dunque non si comprende perché si continui ad insistere sull’”inoculazione volontaria di eroina” da parte della vittima.

Scandaloso perché – per suffragare l’assunto precedente – è saltato fuori un esame tricologico (l’analisi mediante il quale si accerta l’uso pregresso di eroina studiando il capello del soggetto interessato) solo otto anni dopo, esame di cui né la famiglia Manca, né il suo legale Fabio Repici sostengono di aver mai ricevuto notifica.

Scandaloso perché sia Petroselli, sia Pazienti hanno sempre snobbato sarcasticamente la tesi dell’assassinio di mafia, anche se ci sono elementi per affermare che Attilio, morto a Viterbo, ma originario di Barcellona Pozzo di Gotto (Me) – centro al altissima densità mafiosa dove sono stati uccisi un giornalista, un editore televisivo e dei consiglieri comunali – potrebbe essere l’urologo coinvolto nell’operazione di cancro alla prostata del super boss impegnato nella trattativa fra mafia e Stato, Bernardo Provenzano, latitante in quel periodo fra Barcellona Pozzo di Gotto e Viterbo, protetto per oltre quarant’anni da uno Stato che adesso non vuole scoprire perché è morto davvero Attilio Manca.

Luciano Mirone