Dario Montana, fratello del Commissario di Polizia Beppe Montana (uno degli uomini più valorosi della Squadra catturandi), ucciso dalla mafia a Santa Flavia, vicino Palermo, il 28 luglio 1985, ha deciso di costituirsi parte civile – assieme all’Ordine dei giornalisti di Sicilia – al processo per concorso esterno in associazione mafiosa che il 20 marzo sarà celebrato nei confronti di Mario Ciancio, editore del quotidiano “La Sicilia” di Catania, rinviato a giudizio ieri. Un fatto clamoroso.

“E’ un atto dovuto alla memoria dei miei genitori – dice Dario – che hanno subito l’umiliazione della censura del necrologio da quel giornale nel trigesimo della morte di Beppe, provando una sofferenza indicibile causata da quel rifiuto deliberato dalla volontà del direttore Mario Ciancio e del condirettore Piero Corigliano. È un atto dovuto anche nei confronti di questa città: ci ha stupito trovarci nel banco delle parti civili praticamente senza nessuno al fianco”.

Il commissario di Polizia Beppe Montana. Sopra: Dario Montana

In tutti questi anni, Mario Ciancio ha mai cercato di giustificare il motivo per il quale non ha pubblicato quel necrologio?

“Qualche giustificazione hanno cercato di darla, ma del tutto infondata, e comunque collegata all’eventuale danno che avrebbero potuto subire: per esempio, le spiegazioni che Ciancio tentò di dare dopo Report (la trasmissione della Rai, che per la prima volta – dopo le circostanziate denunce che il giornale ‘I Siciliani’ aveva fatto per molti anni – fece conoscere a milioni di italiani il potere del “sistema Ciancio” a Catania, ndr) furono frutto di ricostruzioni fantasiose e prepotenti di chi, finito su tutti i giornali nazionali, si riteneva un intoccabile”.

Come reagirono i tuoi genitori di fronte al rifiuto di pubblicazione del necrologio?

“Quel giorno, quando mio padre tornò dalla sede de ‘La Sicilia’, si sedette davanti alla macchina da scrivere e scrisse all’Ordine dei giornalisti e a tutti i giornali italiani. Fu invitato al Teatro Manzoni dal circolo Società civile di Milano (allora presieduto da Nando dalla Chiesa) a raccontare la vicenda. Con la censura di quel necrologio fu come se Beppe fosse stato ucciso per la seconda volta: la prima volta dalla mafia, la seconda dalle cosiddette ‘persone perbene’ di questa città, infastidite da chi pronunciava la parola mafia e la collegava a Catania”.

Puoi ricordare esattamente come si svolse la vicenda?

“Papà si recò all’ufficio de ‘La Sicilia’, allo sportello della ‘Publikompas’ che raccoglieva i necrologi, compilò il foglio a mano scrivendo: ‘Ricordiamo alla collettività il sacrificio di Beppe Montana, Commissario di P.S., rinnovando il proprio disprezzo alla mafia e ai suoi anonimi sostenitori’. Incredibilmente l’addetto allo sportello disse che doveva farsi autorizzare per la pubblicazione di quel testo: c’era stata una precisa disposizione di Ciancio e di Corigliano, e quindi il necrologio non poteva essere pubblicato. Dopodiché cercò di liquidare mio padre dicendogli che Ciancio era impegnato in una riunione. Il dolore aumentò dopo: non ricevemmo neanche una telefonata di scuse o di giustificazione da parte di Ciancio per far passare la cosa come un incidente”.

Perché a Catania sei rimasto solo nella costituzione di parte civile?

“Perché questo è un processo che probabilmente la città non vuole, è un processo scomodo perché è un processo a un sistema: l’importanza di questo rinvio a giudizio non è, come in tutti i processi importanti, la decisione finale che ci sarà al termine del percorso giudiziario, ma esattamente la possibilità di discutere sui singoli affari che sono oggetto di questi accordi indicibili: si tratta dello spaccato di questa città degli ultimi quarant’anni”.

Il Comune di Catania – attraverso il sindaco Enzo Bianco – ha dichiarato che si costituirà parte civile.

“Spero che non sia solo l’adempimento dell’applicazione di un regolamento. Se così fosse, sarebbe meglio non farlo”.

E però è stato dimostrato che in questi anni il sindaco ha avuto dei rapporti piuttosto intensi con Mario Ciancio.

“Credo che anche questo sia un elemento piuttosto interessante del processo. Voglio ricordare che il sindaco non è stato l’unico ad essere vicino a Ciancio. Nelle intercettazioni telefoniche tra Bianco e Ciancio si parlava del Pua (il Piano urbano attuativo, che riguarda prevalentemente gli affari che ricadono sui terreni dell’editore catanese, ndr), ma troppi ossequi sono stati rivolti nei confronti di Ciancio, e non solo da parte dell’attuale sindaco. Ma quello che voglio dire è che questo processo evidenzierà due fatti: che il reato di concorso esterno in associazione mafiosa esiste anche a Catania (con buona pace di chi non lo riteneva ammissibile); e che il materiale raccolto dalla Procura etnea è meritevole di un processo”.

Mario Ciancio

Ciancio si dichiara innocente. Dice che è stato preso un abbaglio giudiziario e che chiarirà tutto in dibattimento.

“Credo che come imputato abbia il diritto di dichiararsi innocente e di mentire”.

Cosa ne pensi delle reazioni dei grandi giornali (almeno quelli online) subito dopo la notizia del rinvio a giudizio?

“Hanno riportato solo le dichiarazioni di Ciancio, senza sentire le altre campane e senza un minimo di approfondimento. Non mi stupiscono. Non è la prima volta. A Catania di recente si è svolto un altro dibattimento clamoroso di cui nessuno ha parlato: il processo Ilardo, quello noto come la Trattativa bis. Il silenzio tenuto anche su questo argomento dimostra che il monopolio dell’informazione ha sempre cercato di rimuovere i fenomeni più importanti della storia di questo Paese e di questa città”.

Con il processo Ciancio cambierà qualcosa?

“Avremo la possibilità di rileggere la storia di Catania in modo profondo e obiettivo”.

Luciano Mirone