“Relazioni inesistenti, mancati controlli, notizie ottenute de relato e non attraverso una verifica diretta, un pregiudizio di base, un modus operandi semplicistico e superficiale nell’assegnare un bambino ad una Comunità per minori, e tanto altro”.

Se quello che denuncia l’avvocato Rosalba Vitale è vero potremmo ipotizzare che il caso di Michele – dieci anni, destinato dal Tribunale per i minorenni di Catania ad una Comunità su segnalazione dei Servizi sociali del Comune  – è soltanto la punta di un iceberg che andrebbe scandagliato per intero. Perché questo bambino, secondo il legale, potrebbe essere uno dei tanti Michele che a Catania non  sempre vengono posti in Comunità per una giusta causa. Una dichiarazione che fa il paio con quella rilasciata pochi giorni fa da Alfia Milazzo, presidente della fondazione “La città invisibile”, la quale ha denunciato il vorticoso giro di danaro che ruota attorno alle Comunità per minori, destinatarie di cifre che oscillano dagli 80 Euro di Catania ai 400 Euro al giorno a bambino decisi da altri Comuni italiani.

Da poco tempo Rosalba Vitale è il legale della mamma di Michele: ciò che riferisce in questa intervista suddivisa in due puntate (che si aggiungono alle due già pubblicate), rappresenta un duro j’accuse per i Servizi sociali del Comune e per il Tribunale per i minori di Catania. Vediamo perché.

L’avvocato catanese Rosalba Vitale

“Questo procedimento – dice l’avvocato Vitale – inizia nel 2011. In tutti questi anni la madre del bambino non è stata seguita da un legale. Se è vero che in un Tribunale dei minori ci sono atti per i quali non è necessaria la presenza di un legale, è anche vero che questo va in contraddizione con il principio generale di garanzia e di tutela delle persone interessate: con l’assenza di un legale e di determinati strumenti quali la stenotipia e le registrazioni, non possiamo mai verificare l’esatta interpretazione delle informazioni che ci vengono rese nell’ambito di questo tipo di procedimento”.

Può spiegare meglio?

“In tante occasioni può succedere che il bambino possa essere ascoltato senza la presenza di persone che conosce, quindi l’impatto che avrà trovandosi di fronte a un giudice o a uno psichiatra è diverso rispetto a quando viene accompagnato da una persona che conosce. La procedura presenta delle lacune, ci sono determinati atti che vengono fatti anche in assenza del difensore o di una registrazione, quindi non sempre sono interpretabili nella giusta maniera”.

Passiamo al fatto concreto.

“Questo procedimento trae origine da una segnalazione fatta dall’istituto scolastico frequentato dal bambino: Michele si alzava dal banco e andava fuori dall’aula senza chiedere il permesso all’insegnante. Questo è bastato per far scattare la segnalazione presso i Servizi sociali e il Servizio di neuropsichiatria infantile, al fine di attivare (tramite il Tribunale per i minorenni) una procedura nei confronti di Michele”.

In cosa consiste questa procedura?

“Nell’accertare se i genitori sono idonei all’educazione dei figli, o se il bambino necessita di un collocamento presso una struttura adeguata”.

Questi accertamenti sono stati svolti?

“Tra le varie lacune ho riscontrato che l’assistente sociale (a seguito di una mia domanda) mi ha risposto di non essersi mai recata presso l’abitazione del bambino. Possibile che nessuno si sia posto un semplice quesito: com’è quel contesto familiare? L’ho fatto di persona per rendermi conto della realtà”.

Che situazione ha trovato?

“Sono andata all’improvviso e ho visto una casa normale, dignitosa, pulita, abitabile. Quattro vani, un salone, dei divani, il televisore, una stanza adibita ai bambini piena di giocattoli e di foto, un bagno decoroso, un arredamento normale, una cucina curata. Le istituzioni, prima di chiudere un bambino in una Comunità, se lo chiedono dove vive o no? Ma c’è di più”.

Cosa?

“Mi chiedo da dove scaturisce l’urgenza di un provvedimento del genere se agli atti manca la relazione, con l’aggravante che le notizie sul bambino sono state ottenute de relato”.

De relato?

“Sì. Le istituzioni preposte hanno raccontato non ciò che avevano potuto accertare direttamente, ma ciò che le insegnanti avevano loro riferito. Un modus operandi che appare semplicistico e superficiale e che può sfociare in un provvedimento gravoso per la crescita e l’equilibrio del bambino. A questo va aggiunto che non hanno neanche accertato se il convivente della mamma di Michele ha un reddito. Abbiamo scoperto che costui ha un ottimo lavoro e uno stipendio di circa mille e 800 Euro al mese con il quale mantiene la famiglia. Ma allora mi chiedo ancora: qual è il principio per il quale dobbiamo strappare questo bambino dalla sua famiglia e portarlo in Comunità? Ancora non ho ricevuto risposta”.

Quindi la segnalazione ai Servizi sociali e al Servizio di neuropsichiatria riguarda solo il fatto che Michele si alza dal banco senza chiedere il permesso alle maestre?

“Allo stato non ci risultano altri elementi. Probabilmente tutto è originato da un condizionamento. Nella famiglia di Michele c’è il fratellino che presenta un deficit grave. Conoscendo questo trascorso, sono stati sufficienti questi elementi per ritenere che il comportamento di Michelino possa essere simile a quello del fratello, o addirittura possa degenerare”.

Questo cosa significa?

“Che da un lato hanno riscontrato un ‘deficit lieve’ su Michele (una diagnosi molto discutibile, e poi vedremo perché), dall’altro non sembra che esistano elementi tali da giustificare questo tipo di provvedimento”.

Perché?

“Al bambino è stato assegnato un tutore. Pare che gli orari scolastici in cui questa figura sta col bambino vanno dalle 11,30 in poi. Ciò significa che lo spazio temporale 8,30-11,30 rimane scoperto. Ed è lo spazio in cui il bambino dice che si annoia. Stiamo parlando di un bambino al quale è stato assegnato un maestro di sostegno. Lui di fatto è in quinta elementare, ma in realtà studia un programma di terza, sicché l’insegnante che si trova in classe nelle prime tre ore non si prende cura di ‘quel’ bambino, in quanto non è il ‘suo’ bambino. La discriminazione è a monte. Ed è chiaro che quando il bambino (in riferimento alle ore ‘buche’) dice ‘mi annoio’ bisogna capire perché. Così come bisogna capire perché in quelle ore perde la concentrazione, e perché esce dall’aula senza chiedere il permesso. La dinamica psicologica dei fatti, se ci pensiamo, non fa una piega”.

In cosa consiste il “lieve deficit cognitivo”?

“Loro, sempre de relato, dicono che le insegnanti lamentano che perde la concentrazione, si annoia, si distrae e non sta mai fermo. Adesso hanno anche aggiunto che assume atteggiamenti di tipo sessuale nei confronti delle bambine”.

Luciano Mirone

3^ Puntata. Continua.