Dopo l’avvertimento dei “ladri” che l’altra sera hanno inscenato uno strano furto presso lo studio degli avvocati di Massimo Ciancimino, lo Stato corre ai ripari e attraverso  il Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria) trasferisce “per motivi di sicurezza” il super testimone del processo Trattativa dal carcere Pagliarelli di Palermo a un altro istituto di pena di cui non si conosce il nome.

Massimo Ciancimino, che si trova in carcere perché deve scontare una doppia condanna definitiva  a cinque anni e quattro mesi per riciclaggio e detenzione di esplosivo, è contemporaneamente il principale testimone di uno dei processi più importanti del dopoguerra, quello sulla cosiddetta Trattativa Stato-mafia, un presunto accordo segreto stipulato da politici e mafiosi dopo il delitto dell’ex europarlamentare democristiano Salvo Lima (proconsole di Giulio Andreotti in Sicilia), e la strage di Capaci, dove persero la vita il giudice Giovanni Falcone, la moglie e gli agenti della scorta.

Tutto infatti nasce dall’assassinio di Lima, avvenuto nel borgo palermitano di Mondello il 12 marzo 1992 per lanciare un segnale a Giulio Andreotti – almeno così recitano le sentenze – che non avrebbe fatto nulla per evitare le condanne alla mafia in occasione del maxiprocesso di Palermo (iniziato nel 1986 e concluso il 30 gennaio 1992, giorno della sentenza della Cassazione con decine di ergastoli per boss e gregari e oltre 1500 anni complessivi di carcere per tutti gli imputati). Una sentenza definita “esemplare” (dopo decenni di assoluzioni per insufficienza di prove e di incredibili annullamenti proprio in Cassazione) grazie al principio di rotazione voluto da Giovanni Falcone e adottato proprio nel 1992 in Cassazione, secondo cui a presiedere il collegio di magistrati chiamato a giudicare le sentenze di mafia non doveva essere sempre e comunque un solo giudice, in questo caso l’ “ammazzasentenze” Corrado Carnevale, ma una serie di colleghi che, a turno, e in base a criteri oggettivi, avrebbero dovuto presiedere la Corte. Quella volta a presiedere il collegio giudicante fu il giudice Arnaldo Valente, che confermò la sentenza di Appello.

Da quel momento la mafia dichiarò guerra allo Stato, prima con l’omicidio Lima, poi con la strage di Capaci. Da quel momento – secondo quanto asserisce Ciancimino e quanto confermato dall’Accusa al processo – cominciarono frenetiche trattative fra esponenti delle istituzioni e Cosa nostra per evitare altre stragi e altri delitti eccellenti. Il primo ad aver compreso la “gravità di scendere a patti con la mafia” fu Paolo Borsellino, fatto a pezzi appena due mesi dopo in via D’Amelio assieme agli agenti della scorta.

Per questa ragione il Dap oggi ha ritenuto di trasferire Ciancimino in altra località protetta. Oggi il super testimone avrebbe dovuto rendere dichiarazioni spontanee, ma non ha partecipato all’udienza. In futuro sarà presente videoconferenza, tranne se decidesse di esserci personalmente.
Nei giorni scorsi lo studio legale degli avvocati palermitani Dario e Roberto D’Agostino – che si occupa della difesa di Massimo Ciancimino – ha subito lo strano furto di un vecchio computer portatile dove erano contenuti gli atti dei processi che vedono come super testimone proprio il figlio dell’ex sindaco di Palermo. Il fatto inquietante è che hanno rubato solo quel pc (per giunta tecnologicamente superato), mentre il resto è rimasto al suo posto, compreso un pc del valore di 5mila euro che nessuno si è preso la briga di trafugare. Singolare anche il fatto che i malviventi siano entrati solo nella stanza dove era conservato quell’apparecchio trascurando le altre. Un fatto avvenuto in contemporanea con la decisione di Totò Riina di rispondere nel corso dello stesso processo e di cambiare idea nel giro di qualche giorno.

Luciano Mirone