Prof. Aurelio Angelini, perché la Sicilia è solo al 13 per cento di raccolta differenziata?

“In questi anni coloro che avevano in mano le leve della pianificazione (i politici regionali) hanno deciso sempre in maniera differente da come si sarebbe dovuto fare. In Sicilia sono state seguite delle strategie per impedire un sistema industriale moderno. Tale sistema ha finito per  favorire i soliti personaggi che controllano le discariche, parte dei quali collegati alla criminalità organizzata. Gli altri, che magari non sono direttamente collegati, ricavano degli utili stratosferici a fronte di un servizio estremamente scadente”.

Va giù duro Aurelio Angelini, docente di Sociologia dell’Ambiente all’università di Palermo, uno dei massimi esperti in questo settore. Dato che soprattutto in provincia di Catania, nella Valle del Simeto, l’argomento è tornato di attualità, lo abbiamo contattato perché chiarisse se è meglio incenerire o differenziare i rifiuti.

Dunque lei dice che tutto questo è stato organizzato a livello politico per favorire la criminalità?

“Le cose sono due: o ci sono dei registi molto lucidi (e io sono convinto di questa tesi) oppure siamo di fronte a una congiura di imbecilli che a tutti i livelli hanno lavorato per fare in modo che il sistema delle discariche in Sicilia facesse un fatturato di 400 milioni l’anno, diviso tra poche persone che sono le più ricche dell’Isola. Certo, non mi posso vantare di vivere in una regione dove gli imprenditori più ricchi sono quelli che operano nel settore della monnezza”.

Il prof. Aurelio Angelini. Sopra: un disegno

Che è successo?

“Non è mai stato elaborato un piano di gestione dei rifiuti. Il primo atto che si sarebbe dovuto fare; non ora ma nel 1997. Il Veneto, che per primo si è dotato di un piano, è al 70 per cento di raccolta differenziata, noi siamo ultimi”.

Perché?

“Per fare affari. E per fare affari bisogna essere sempre in emergenza, in modo da individuare aree per le discariche o impianti di incenerimento. Abbiamo proseguito con un sistema improntato con una de-regolazione voluta e organizzata da decisioni politiche”

Professore, esistono due correnti di pensiero: una che sposa la filosofia degli inceneritori, e un’altra che è per la differenziata. Secondo lei qual è la soluzione migliore?

“L’Europa ha stabilito che entro il 2030 non potranno entrare in discarica i rifiuti suscettibili di essere riciclati. Non potranno entrare e nemmeno essere inviati agli impianti di incenerimento. Questo significa che è iniziata la fase in cui bisogna cominciare a portare i valori della raccolta differenziata sopra il 60 per cento (obiettivo europeo fino al 2012) e inoltre occorre progettare gli imballaggi in modo che questi possano essere inviati alla raccolta differenziata o al riuso. Lo scenario del futuro ci dice che ci avviamo verso il superamento di questa forma di smaltimento attraverso l’incenerimento, una delle modalità più vecchie che vengono utilizzate. Nel corso del tempo, per la gran mole di materiale che è finito negli impianti di incenerimento, gli effetti dell’inquinamento sono stati esponenziali. Grazie agli interventi dell’Unione europea sono stati resi sempre più stringenti i valori delle emissioni in atmosfera”.

Dunque l’inceneritore è deleterio solo perché ce lo dice l’Europa?

”Non solo. E’ deleterio per la salute, per l’ambiente e per l’occupazione. La differenza tra un impianto di incenerimento e la corrispondente filiera del riciclo del rifiuto, ha un rapporto minimo di uno a dieci in termini di valore di occupati. Bruciando i rifiuti bruciamo impresa e lavoro”.

Vuol dire che la differenziata è migliore dell’incenerimento sul piano della salute e sul piano economico?

“Certo. Bisogna dire che in Sicilia la gestione dei rifiuti non è mai stata improntata in maniera sostenibile dal punto di vista ambientale, economico e imprenditoriale. La pratica del riciclo va benissimo al Nord, da qualche tempo anche in Sardegna e in Campania. Il fatto che la Sicilia sia all’ultimo posto è assolutamente devastante, se si pensa che la legge prevedeva di arrivare al 15 per cento nel 1999. Diciotto anni dopo, la Sicilia non ha raggiunto neanche la prima tappa”.

Di chi la responsabilità?

“L’ho detto: della politica regionale. Quindi la soluzione non può che essere politica. La scorciatoia non può essere costituita dall’incenerimento. Fra l’altro i sostenitori di quest’ultimo sistema dovrebbero spiegare come si fa a fronteggiare l’emergenza dato che per costruire un impianto del genere sono necessari dai cinque ai dieci anni”.

Cosa non ha funzionato?

“I fattori sono molteplici. La priorità spetta indubbiamente alla Regione che, secondo la legge, ha un ruolo di pianificazione e di coordinamento, poi ci sono le ex province che avevano il ruolo di organizzare il bacino sovracomunale della gestione dell’impiantistica, infine i comuni che hanno il compito di fare la raccolta. È evidente che gerarchicamente la Regione ha un peso di gran lunga maggiore rispetto agli altri enti”.

Luciano Mirone