L’ex governatore della Sicilia Totò Cuffaro il prossimo 4 febbraio sarà nella mia città (Belpasso, Ct) a presentare il suo libro sulla condizione carceraria in Italia. Una cosa del genere si è resa possibile grazie a un socio del Club progressista, il circolo più prestigioso del comune, che ha chiesto i saloni del sodalizio per organizzare l’evento. Si tratta del deputato regionale di Forza Italia, Alfio Papale, ex sindaco di Belpasso. Il quale, negli stessi locali dove da sempre intervengono personalità prestigiose, dove lo scorso anno è stata allestita la rassegna letteraria “Conversazioni in Sicilia” cui hanno partecipato scrittori importanti, non trovi di meglio che portare un ex presidente di Regione condannato (con sentenza passata in giudicato) per favoreggiamento aggravato a Cosa nostra, facendo finta di non sapere che i giudici della Cassazione dichiarano provato “l’accordo politico-mafioso tra il boss Giuseppe Guttadauro e l’uomo politico Salvatore Cuffaro, e la consapevolezza di quest’ultimo di agevolare l’associazione mafiosa, inserendo nella lista elettorale per le elezioni siciliane del 2001 persone gradite ai boss e rivelando, in più occasioni, a personaggi mafiosi l’esistenza di indagini in corso nei loro confronti”.

Di fronte a una richiesta imbarazzante come questa, il Club ha deciso di concedere sì i saloni, senza tuttavia patrocinare l’iniziativa. La presa di distanza appare chiara. E però succede che i veri organizzatori non compaiano nei manifesti che pubblicizzano l’evento. Il nome di Papale non risulta neanche nel parterre degli interventi. In compenso c’è scritto che una parte dei proventi del libro andranno in beneficenza alla mensa dei poveri del comune di Belpasso, grandiosa ciliegina su una torta che non ha pasticceri, almeno apparentemente.

Ma intanto su wa lo stesso Papale si scatena invitando centinaia di amici. Per un improvviso amore per la cultura, per un improvviso interesse per la condizione carceraria in Italia, per cosa?

Però quanto è strano il destino. Papale qualche anno fa si risentì perché nel titolo di un articolo lo avevo affiancato ironicamente a Nicola Cosentino, ras campano di Forza Italia, condannato definitivamente per concorso esterno in associazione mafiosa. Allora l’onorevole disse che avevo leso il suo onore e mi querelò (e il giudice gli ha dato ragione), ma oggi si mobilita per la presentazione di un libro con un autore che ha subito una condanna per mafia. Davvero strano il destino.

Nicola Cosentino visto dal settimanale “L’Espresso”. Sopra: Totò Cuffaro

Dice… Ma Cuffaro non ha mai ammazzato nessuno, non è il mandante di alcun delitto e non ha mai trafficato droga. Vero. E però Cuffaro – secondo i giudici – ha contribuito a rendere più forte Cosa nostra. E Cosa nostra sappiamo che terribile organizzazione che è.

“I mafiosi stanno in Parlamento”, diceva Giuseppe Fava, “i mafiosi a volte sono ministri, i mafiosi sono banchieri, i mafiosi sono quelli che in questo momento sono ai vertici della nazione. Non si può definire mafioso il piccolo delinquente che arriva e ti impone la taglia sulla tua piccola attività commerciale, questa è roba da piccola criminalità, che credo abiti in tutte le città italiane, in tutte le città europee. Il fenomeno della mafia è molto più tragico ed importante”.

La “vera mafia” dunque non è quella che chiede il “pizzo” o che spara (quello, al massimo, è il braccio armato), ma quella che si annida nei palazzi della politica e che si allea con chi uccide per trarne dei vantaggi, ricambiando sempre i servigi ricevuti.

Perché tutti i grandi boss (da Nitto Santapaola a Bernardo Provenzano fino Totò Riina) per oltre quarant’anni sono stati protetti dallo Stato? Perché si sono dovute aspettare le stragi di Capaci e di via D’Amelio per catturarli? Perché ancor oggi Matteo Messina Denaro, con tutti i segreti di cui è depositario, può agire indisturbato? La risposta è semplice. Senza la politica, Cosa nostra sarebbe stata sconfitta da tempo, come è successo negli “anni di piombo” col terrorismo. Se la mafia continua ad esistere è perché la politica non ha mai voluto recidere questo cordone ombelicale. Presentare un libro di Cuffaro non vuol dire sdoganare solo Cuffaro, ma sdoganare una cultura di cui l’ex governatore, piaccia o no, è portatore, e di cui noi stessi, con le nostre azioni, col nostro silenzio e col nostro voto, siamo i destinatari finali.

Ora, ci perdonino i giacobini, ma siamo assolutamente convinti che Totò Cuffaro non sia affatto peggiore di tanti altri collusi. Anzi, aggiungiamo che si tratta di una persona gentile, affabile, garbata, disponibile, umana e perfino simpatica. E però siamo altrettanto convinti che – di fronte a una condanna del genere – non possiamo valutare Cuffaro con le categorie con le quali giudichiamo le persone comuni. In un caso del genere la nostra ragione è chiamata a fare un salto di qualità, sfoderando quel senso critico che è necessario.

Qualcuno può spiegare se esiste un politico colluso al quale mancano le qualità di Cuffaro? Se qualcuno pensa di trovare fra i Colletti bianchi gente con la coppola e la lupara si sbaglia. Se non si esce fuori da questo equivoco rischiamo di diventare complici di una cultura funzionale a un sistema che ha bisogno del nostro consenso, della nostra inconsapevolezza, della nostra disinformazione per esistere.

Per comprendere l’inopportunità di una iniziativa come questa, basta dire che perfino l’attuale presidente dell’Assemblea regionale siciliana Giovanni Ardizzone (collega di partito dello stesso Cuffaro) non ha concesso l’aula dell’Ars intitolata a Piersanti Mattarella dove era stato fissato un convegno sulla situazione carceraria, con la presenza tra i relatori dello stesso Cuffaro: “Sarebbe stata inopportuna, e certamente equivoca, la partecipazione di un relatore condannato per favoreggiamento aggravato a Cosa nostra”.

Il presidente dell’Ars Giovanni Ardizzone

Dice… Ma Totò Cuffaro ha scontato dignitosamente la pena, quindi è giusto che la società lo accolga con tutti gli onori.

Sul fatto che abbia scontato dignitosamente la pena (al contrario di altri che l’hanno fatta franca per lo stesso reato) siamo d’accordo, sul fatto che sia giusto che la società debba accoglierlo con tutti gli onori – come di fatto sta avvenendo – dissentiamo.

Può il solo carcere estinguere una colpa gravissima? Dal punto di vista penale e formale sì. Dal punto di vista morale e sostanziale no (almeno secondo noi). Perché? Se Cuffaro in questi anni si fosse ravveduto o pentito pubblicamente, magari facendo i nomi degli altri politici compromessi, sia a livello regionale che nazionale, allora avremmo valutato il problema da un’angolatura diversa. Ma se di fronte ad accuse provate, Cuffaro afferma di avere agito bene, senza fare un solo nome, possono bastare degli anni di galera e un libro per parlare di riabilitazione pubblica?

Una certa corrente di pensiero è convinta di sì. Ma se domani un boss (uno qualsiasi) che ha scontato la sua pena e ha scritto un libro, dovesse chiedere a chi ha organizzato l’evento del 4 febbraio, di presentare il suo volume, questi cosa risponderebbero?

Nel Paese alla rovescia dove ci si è assuefatti a tutto e si considera normale che la gente muoia ammazzata e i politici siano collusi, è “normale” che un condannato per favoreggiamento aggravato alla mafia faccia passare i suoi messaggi. È normale perché abbiamo abbassato l’asticella dell’etica. In un Paese normale, dove quell’asticella è costantemente alzata, un fatto del genere neanche si porrebbe.

Un’altra cosa. Per favore, smettiamola di parlare di ”evento culturale”. L’evento ha altre finalità, specie ora che si avvicina un’elezione importante come quella regionale.

Luciano Mirone