C’è quello del voto al parente, quello del voto all’amico, quello del voto al candidato da’ Chiesa, quello del voto al candidato “du’ ‘ma quatteri”, quello del voto ‘o duttureddu, quello del voto a “ccu mi fici ‘u favuri”.

Osservo tutto ciò e mi chiedo se non esista una connessione fra questo modo di intendere il consenso e il baratro nel quale sta sprofondando l’Italia. Sì, perché quando un Paese sprofonda nel baratro, quando degli esseri umani si suicidano perché non ce la fanno ad arrivare alla fine del mese, c’è sempre un concorso di colpa, che non riguarda solo pochi individui, ma un intero popolo.

Voi credete che la raccomandazione chiesta al politico colluso o corrotto, le leggi ad personam, l’ingente finanziamento ai partiti, l’abnorme evasione fiscale, l’iscrizione ad una loggia massonica, le tangenti, la spartizione dei posti di governo e di sottogoverno, l’elezione di perfetti imbecilli o di incalliti mafiosi in Parlamento, lo sperpero di danaro pubblico, non siano misfatti che vedono responsabili in egual misura i politici e i cittadini?

Voi credete che ognuna di queste cose – unite alla nostra indifferenza, al nostro quieto vivere, alla nostra ignavia, al nostro egoismo – non abbiano contribuito a devastare l’Italia?

Voi credete che nel ’20, quando Mussolini prese il potere, instaurando il sistema totalitario che ci portò alla Seconda guerra mondiale, furono soltanto i meriti del Duce a determinare la dittatura, o non anche i demeriti dell’opposizione; l’ignoranza e il fanatismo, l’indifferenza e il cinismo di molti italiani?

Hitler e Mussolini; Stalin e Pol Pot sono il prodotto della casualità o la sintesi di una volontà popolare che li ha voluti in quel posto?

Oggi l’Italia rischia di finire come la Grecia. Ma la Grecia è sprofondata solo per colpa dei politici?

L’Italia che per decenni ha votato per il peggio dei partiti, è esente da colpe?

Questa grave crisi sta portando i cittadini a riflettere e a maturare certe consapevolezze, oppure il trasformismo, l’opportunismo, l’appartenenza a qualcuno o a qualcosa si rivelano ancora una volta condizionanti?

Si vota in base alle capacità, alla coerenza, alla dirittura morale dei candidati, oppure all’interesse particolare o all’appartenenza tribale a un clan?

L’impressione è che ci sia gente desiderosa di continuare a scherzare col fuoco, senza che si renda conto che la casa sta bruciando. Sembra un tristissimo gioco, una specie di sagra del disimpegno, nel quale ognuno – prendendo a pretesto la democrazia, e quindi la libertà di giocare irresponsabilmente col futuro del Paese – si balocca a partecipare.

Vent’anni fa mi candidai al Consiglio comunale di Belpasso. A chi, stupefatto, mi chiedeva perché non fossi bravo a chiedere voti, rispondevo serafico: “Mi sto mettendo al servizio della comunità: non chiedo un favore, offro il mio sacrificio, il mio entusiasmo, le mie capacità, i miei anni migliori. Non chiedo assessorati, presidenze, posti di sottogoverno, mi interessa il Bene comune. Stop. Conoscete la mia storia: se merito, datemi fiducia. Se non merito, non fatelo. Ma per favore, giudicatemi per la mia coerenza e per il mio impegno, non per amicizia, per parentela o per delle false promesse che non vi farò mai”.

Oggi, a distanza di due decenni, dico le stesse cose, però l’impressione è che non sia cambiato molto: anche le “nuove generazioni” (o una parte di esse, auguriamoci minoritaria) appaiono omologate a questo modo arcaico di intendere la politica e la società. Spero di sbagliare.

I “grandi” hanno colpe immense perché hanno inoculato ai giovani il principio di stare dalla parte del più forte e non dalla parte del più giusto. Possibile che nessuno abbia mai spiegato che la cattiva qualità della vita è figlia della cattiva qualità del voto? E i ragazzi? Beh… a loro voglio solo dire: pensate con la vostra testa, siate protagonisti del vostro futuro, il tempo è poco, non sprecatelo banalmente.