Un gruppo di concittadini mi ha proposto di candidarmi a sindaco di Belpasso. “Oddio, e ora che faccio?”. Mi sono preso alcuni giorni, ma sinceramente, pur sentendomi lusingato, ho bisogno di riflettere, e molto. Troppe spaccature nei partiti, troppi protagonismi, troppe primedonne. Come decidere immediatamente?

Vogliono, questi cittadini, una candidatura che sia espressione autentica della Società civile, al di là e al di sopra dei partiti, con un progetto e dei valori che facciano da collante fra la gente, al posto degli affarismi, degli inciuci e dei compromessi visti finora. E vedono nella mia figura – bontà loro – la persona che possa rappresentare queste istanze.

Mi sono sentito catapultato, tutt’a un tratto, in una dimensione fatta di responsabilità e di futuro, ma anche di veleni e di insidie, perché, ahimè, la politica di oggi è questo: responsabilità e futuro, ma anche veleni e insidie, trappole che voglio evitare in un contesto troppo intossicato dagli affari di qualche personaggio che domina la scena pubblica da troppo tempo.

L’impressione è che il paese non riesca ad uscire dalla cappa oppressiva di certi Signorotti che in questi anni hanno fatto da padroni, gestendo la Cosa pubblica come se fosse Cosa loro, con il silenzio colpevole di tanti, compresi certi “giovani rampanti” che adesso vogliono prendere il loro posto.

Mentre rifletto su tutto questo, mi scorrono davanti le pagine di facebook dove, tra tanti nomi di possibili candidati, si fa anche il mio. Leggo i commenti ed assisto ad un dibattito surreale che mi sembra lo specchio della situazione che si vive in paese. C’è chi dice “c’è da piangere” e chi dice – e sono i più – che i candidati “sono tutti uguali”, anche se in cuor suo sa benissimo che non è così. Non siamo tutti uguali! Ed è bene che si tenga presente.

Io penso che sia giunta l’ora di esporsi e di dire come stanno le cose. Perché, cari signori, o questa battaglia la combattiamo adesso che il vecchio sistema è in crisi, o non la combattiamo più: nel frattempo l’”ancien regime” si riorganizzerà, statene certi, e tutto tornerà come prima.

L’ultima occasione l’abbiamo avuta vent’anni fa: dopo Tangentopoli e le stragi di Capaci e di via D’Amelio, l’Italia era pervasa da una grandissima voglia di cambiamento. Poi arrivò un certo Silvio Berlusconi e tutto tornò come e peggio di prima. In media in Italia momenti del genere arrivano ogni vent’anni.

Non è arrivato il momento che la gente perbene si unisca per portare avanti un progetto davvero nuovo? A voi la risposta.

Chi è di queste parti sa che una delle caratteristiche che contraddistinguono la città di Martoglio – soprattutto quando c’è di mezzo la politica – è la “banalizzazione”, o la farsa organizzata.

 

Immaginate una città che brucia. Ed immaginate degli abitanti che, invece di spegnere l’incendio, davanti alle fiamme che ardono si mettono a recitare “Cicca Stonghiti” dei “Civitoti in pretura”, un po’ come fece Nerone, coi suoi improbabili versi, mentre Roma bruciava. Poi osservano la città in cenere, fanno un cenno di tristezza, biascicano qualche parolina, “A nostra bedda città…”, e se ne vanno come colpiti da un destino ineluttabile al quale non hanno potuto porre rimedio.

L’illusione e la realtà. L’illusione di recitare Martoglio e la realtà di recitare inconsapevolmente il “teatro dell’assurdo”. L’illusione di vivere nella società ingenua di ottant’anni fa, e la realtà di essere in una città che brucia. L’illusione di essere protagonisti, e la realtà di essere delle tragiche machere gestite da vecchi spiriti intoccabili.

Solo il buon Francesco Asero, con la sua sensibilità poetica, è andato oltre, delineando – attraverso i filosofi dell’antica Grecia o i personaggi dei “Promessi sposi” – i volti dei possibili candidati. Ecco allora che è spuntato Aristotele, Platone, Socrate, Anassimandro, Anassimene e i filosofi del periodo presocratico.

Con tutto il rispetto per il buon Francesco, credo che la situazione attuale di Belpasso e dell’Italia intera non c’azzecchi nulla con costoro. Solo uno dei filosofi citati sintetizza quello che siamo: Eraclito. “Niente si distrugge, tutto si trasforma”. Già, tutto si trasforma. Che poi è la massima ripresa quasi duemila anni dopo da Tomasi di Lampedusa e da Federico De Roberto per definire il trasformismo italico dei tempi recenti: “Cambiare tutto per non cambiare nulla”. In questo caso si vede chiaramente che il vecchio, pur di non morire, vuole, anzi “deve” trasformarsi. O attraverso i “giovani”, oppure attraverso qualche faccia “nuova” (che poi tanto nuova non è), perché “bisogna” salvare un sistema che crolla e che rischia di far crollare i troppi affari che ci sono in ballo.

Racconto questi episodi non per polemizzare, ma per cercare di spiegare qual è lo spaccato sociale con il quale dovrò eventualmente confrontarmi.

Troppi attacchi e troppo fango ho subito in questi anni per essermi ribellato a un sistema illegale che da un trentennio fa capo al sindaco uscente e ai suoi amici. Troppi attacchi e troppo fango ho subito non solo dal potere che ho denunciato, ma da tutta quella gente che ha preferito stare dall’altra parte, specie nella stagione 1993-1997, quando, eletto consigliere comunale grazie solo al voto d’opinione, ho condotto le mie battaglie sul Piano regolatore, sull’acqua, sulla sanguinosa mafia del Malpassoto, sulla speculazione edilizia, sul villaggio degli americani a Sigonella, sull’istituzione della farmacia nel quartiere di Borrello (arrivata soltanto ora, dopo vent’anni. Per responsabilità di chi? Qualcuno non ha esami di coscienza da fare?).

Ora vedete, grazie ai miei libri e alle numerose conferenze sulla legalità e sul futuro dell’Italia, vivo un momento felice dal punto di vista personale e professionale. Inviti in tutta la Penisola, da Pordenone a Trapani, per parlare di cose bellissime, che mi gratificano e mi danno la possibilità di prendere delle buone boccate d’ossigeno. Ogni volta che torno a Belpasso mi sento rinfrancato e anche più forte, con una grandissima voglia di nuove sfide. E noto che certi denigratori sono costretti ad arretrare, ad abbassare lo sguardo, a girarsi dall’altra parte, mentre la cerchia degli estimatori e il numero dei sorrisi aumentano sempre più.

Non vi nascondo che improvvisamente, quando ho ricevuto la proposta di candidarmi, ho avvertito un brivido alla schiena. Sono stato messo di fronte a una scelta che per me rappresenta un dilemma: l’amore per il mio lavoro e l’amore per il mio paese. Un dilemma drammatico, appesantito dal forte frastagliamento delle forze politiche e dalla mancanza di coraggio delle persone perbene e autorevoli, che vorrei ritrovarmi accanto.

Non ho contrapposto un secco “no”. Ho detto “non so, lasciatemi pensare”. Non ho risposto con un rifiuto, ma con un dubbio. Perché in fondo spero sempre nella quiete dopo la tempesta, spero sempre che dopo decenni di sfregi profondi, possa nascere un “umanesimo moderno” in grado di mettere al centro del proprio futuro l’intelligenza, la creatività, la fantasia, le risorse, la cultura e le tradizioni di un popolo.

Un “umanesimo moderno” capace di risolvere i problemi di oggi. Che non sono soltanto quelli legati alla vita quotidiana (l’acqua, la nettezza urbana, la viabilità, l’edilizia scolastica, la sicurezza, i trasporti, il randagismo; argomenti “fotocopia” che ti ritrovi puntualmente nei programmi di tutti i candidati, argomenti che comunque vanno affrontati e risolti in tempi brevi), ma anche i problemi dell’era contemporanea: la cementificazione delle aree agricole, l’abusivismo edilizio – perpetrato dai “soliti noti” – che ha causato la “questione Piano Tavola”, la demolizione di manufatti antichi in centro storico, la realizzazione di centri commerciali che hanno “desertificato” economicamente e socialmente la nostra città, la chiusura di decine di negozi e l’esodo di giovani ed anziani verso la Mecca dei giorni nostri.

Un tempo se chiedevi a qualcuno “dove stai andando?”, ti sentivi rispondere: “a chiàzza”, oppure “a villa”. Adesso ti senti dire “a Etnapolis”. Dove ti organizzano di tutto, dal carnevale alla mostra sulla civiltà contadina, dalla proiezione del film sulla vendemmia alla conferenza sui prodotti tipici. Quello che dovrebbe fare l’Amministrazione comunale (la quale, per impreparazione o per malafede, o magari per valorizzare “certi” terreni, non riesce a fare), lo sta facendo il centro commerciale.

Sotto l’indifferenza di tutti, stiamo assistendo ad un cambiamento epocale, al disfacimento delle nostre comunità e della nostra identità, al trionfo dell’effimero e del virtuale, che con la bellezza e la storia della nostra comunità non hanno nulla a che vedere.

Il danno perpetrato negli ultimi decenni ci sta togliendo il futuro perché sta bruciando delle carte formidabili per il progresso economico e sociale della nostra comunità: il turismo, la cultura, l’agricoltura e l’artigianato d’eccellenza.

Negli incontri di queste sere, la mia eventuale candidatura è stata un pretesto, perché si è parlato molto di futuro, e vi confesso che sono felice per questo. In fin dei conti, se dovessi dire sì, mi sentirei un semplice rappresentante di chi sogna una cosa diversa, un mondo nuovo. E credo che – al di là dei progetti e dei programmi scritti – ognuno di noi è un progetto e un programma vivente. Per ognuno di noi parla la storia, non le parole.

Le persone che mi hanno fatto questa proposta – persone che amano il loro paese, a prescindere dalle loro idee politiche – hanno percepito che la posta in gioco è veramente alta: o Belpasso diventa un immenso e caotico paese dormitorio; oppure può essere la cittadina felice, attraente e a misura d’uomo nella quale molti sperano di vivere. Non c’è molto tempo, perché il danno perpetrato è tanto.

Le riunioni – rigorosamente in garage, col freddo pungente di dicembre – sono state contrassegnate da questi discorsi. Poca ufficialità, molte idee e proposte.

E allora ragazzi, è stato detto, ci vogliono persone oneste, preparate e innovative, capaci di portare avanti un progetto di sviluppo per i prossimi cinquant’anni. Ci vuole un Piano regolatore che faccia da volano allo sviluppo della città. Ma questo argomento, qualcuno, lo ripete da tantissimi anni. Adesso che siamo sotto elezioni, il Consiglio comunale, il vice sindaco e la Giunta urlano: il Piano regolatore, ci vuole il Piano regolatore. Dicono che finora non gliel’ha fatto fare il sindaco Papale, nel frattempo dimessosi per candidarsi alla Regione. Ora, ovviamente, tutti prendono le distanze dal padre-padrone, ma quando era assiso sul trono e proibiva severamente di occuparsi dello strumento urbanistico, nessuno osava fiatare.

E poi, è stato detto nel corso di questi incontri, occorre uno sviluppo sostenibile ed eco-compatibile, a impatto ambientale zero, con l’utilizzo delle nuove fonti di energie alternative. Uno sviluppo sostenibile che preveda un uso razionale del cemento, regolato da precise norme edilizie. Una inversione di tendenza che veda nel restauro degli edifici antichi uno dei punti qualificanti di questa nuova cultura, con l’uso di materiali compatibili con le caratteristiche urbanistiche del paese. La tutela e la salvaguardia delle masserie, dei palmenti e degli spazi verdi, sia dentro che fuori il centro abitato.

E inoltre: la valorizzazione dei prodotti agricoli d’eccellenza (il ficodindia, l’olio d’oliva, la frutta, gli ortaggi, le verdure selvatiche) mediante l’allestimento di un “mercato delle erbe” da allestire ciclicamente nelle piazze e in via Roma, con la partecipazione di artisti da strada, di cantanti, e di giocolieri per movimentare la manifestazione; ed inoltre la valorizzazione della pasticceria e dell’enogastronomia, ma anche delle intelligenze e dei talenti locali, coniugando la tradizione con l’innovazione: le feste più importanti dell’anno come la festa di santa Lucia, le compagnie teatrali, le manifestazioni “storiche” come il Premio “Martoglio”, il “Motoraduno dell’Etna”, il “Lennon Festival”, da affiancare a nuovi eventi: incontri letterari, rassegne musicali, manifestazioni sportive di alto livello, mostre, convegni e la creazione di musei legati alla nostra cultura. Cinque su tutti: il Museo del teatro siciliano, il Museo della pietra lavica, il Museo della festa di santa Lucia (pensate quanto sarebbe bello portare in un museo, un pezzo di cento anni fa costruito dai mastri di allora), il Museo della civiltà contadina e il Museo dell’artigianato. Idee che espongo da almeno vent’anni. Inutilmente.

Si è parlato addirittura di organizzare un evento al giorno, ma questo onestamente, è troppo: facciamo uno alla settimana?

Ma tutto questo è necessario raggrupparlo in un progetto organico, farlo conoscere fuori. Se ogni cosa viene allestita “isolatamente” dalle altre Belpasso non spiccherà mai il volo, resterà chiusa nel suo splendido isolamento. Bisogna pensare in grande per porre Belpasso al centro.

Perché questo entusiasmo? Perché c’è l’esigenza di ricostruire quel tessuto sociale disgregato da anni. Bisogna riportare la gente nella propria città, non lasciare che bivacchi agli angoli della strada,

ma al tempo stesso bisogna attirare turisti per fare apprezzare il barocco, i monumenti, i musei, il teatro, il territorio, l’Etna e la natura incontaminata. Bisogna ridare dignità agli anziani e ai giovani.

Già, i giovani, che per tanti anni sono stati ignorati. Quindi è importante costruire, in ogni quartiere, delle mini strutture sportive a costi bassissimi (campi di calcetto, di basket, di pallavolo), da affiancare agli impianti esistenti. Fare esprimere la loro creatività attraverso l’allestimento di nuovi spazi riservati a loro. Insomma Belpasso deve essere una città a misura di ragazzo e di bambino.

Libro dei sogni? Assolutamente no: tutto quello che è stato pensato ha tenuto in considerazione la scarsa disponibilità di risorse economiche. Ogni cosa deve essere fatta a costi molto contenuti, molti a costo zero, e anche se le idee sono tante, si è consapevoli che è meglio averne tante (e magari realizzarne alcune), che non averne niente.

Questo e tanto altro è stato detto nel corso di questi incontri, dove le presenze sono aumentate da riunione in riunione. Un entusiasmo come non ne vedevo da tempo.

Ho chiesto consiglio a molti amici. Quasi tutti hanno detto: “buttati”. Fra questi c’è Nando dalla Chiesa, uno degli intellettuali italiani che in questi anni ha dato un contributo fondamentale per il riscatto morale e civile dell’Italia. Da Milano ha risposto: “Approvo il progetto. In ogni caso, se lo porti avanti, fallo con leggerezza d’animo!”.

Proprio così. Con leggerezza d’animo. La stessa che ho riscontrato nelle persone che mi hanno dato l’onore di questa proposta. Sto riflettendo ancora. Con leggerezza d’animo dobbiamo dire che – se dovessi decidere di candidarmi e se dovessimo vincere – questo paese lo cambieremo davvero. Ma è importante, anzi fondamentale, che la parte migliore della città esca allo scoperto e si scommetta. Ora o mai più!

 

Post scriptum: il progetto esposto in questo articolo, è il frutto delle nostre riflessioni. Dispiace dirlo, ma negli ultimi decenni, nessuno dei candidati a sindaco o al Consiglio comunale – fino a prova contraria – ha espresso una sola idea in sintonia con queste. Senza volere apparire presuntuosi, si prega – in caso di mancanza di progettualità – di non copiare da questo pezzo, non perché le nostre idee abbiano il copyright, ma perché è giusto che ognuno esprima la cultura di cui è portatore. Invitiamo pertanto i lettori a diffidare dalle eventuali imitazioni.