Fino agli anni Ottanta era considerata la “città babba”, la città non ancora intaccata dal fenomeno mafioso, la città che, pur attraversata da molte contraddizioni, esprimeva una qualità della vita a dimensione umana.

Oggi Messina è un capoluogo da “tesi di laurea”, nel senso che per comprendere come certi poteri occulti influenzino la vita democratica, incidendo in modo determinante sulla formazione della classe dirigente e sulla qualità della vita, devi recarti lì per studiarne le dinamiche più nascoste.

Anche se non ci sono statistiche né studi che dimostrino il nesso tra le pesanti infiltrazioni mafiose al Comune, al Palazzo di giustizia e all’Università, e la più alta percentuale italiana di iscritti alla massoneria, Messina oggi occupa gli ultimi posti in classifica in diversi settori. Una coincidenza?

In realtà, negli ultimi decenni, la massoneria da fenomeno d’elite si è trasformato in fenomeno di massa. Sessantadue medici, quaranta docenti e funzionari dell’Università, trentotto avvocati, trentacinque dipendenti di enti pubblici, trenta ingegneri e architetti, ventotto imprenditori fanno parte delle svariate logge disseminate in città. Un esercito di professionisti che occupa i posti chiave. A Messina tutte le famiglie più in vista, secondo un’antica tradizione, hanno almeno un parente massone. Con l’aumento dei diplomi e delle lauree, spiega chi conosce bene il fenomeno, in città ci sono più massoni che persone libere. Senza contare la provincia, dove la percentuale è in nettissimo aumento.

Difficile quantificare il numero degli adepti: probabilmente oltre mille (su cinquemila iscritti in tutta la Sicilia), divisi fra Grande Oriente d’Italia (otto logge in città), Gran Loggia Regolare (tre), Camea (tre), Piazza del Gesù (non ufficializzato) ed altre obbedienze di cui non si conosce l’identità. Un numero di massoni che nella città dello Stretto è in continua crescita grazie soprattutto ai rampolli dell’alta borghesia “pervasi da un insopprimibile bisogno di spiritualità”, che vengono “iniziati” all’ombra del Grande Tempio.

A scorrere gli elenchi ufficiali scopri un intreccio incredibile. Ministri, Magnifici rettori, cugini dell’ambasciatore italiano alle Nazioni unite, onorevoli, sottosegretari, ex presidenti di Regione, assessori, presidenti degli Ordini professionali. Insomma una pletora di personaggi che contano, appartenenti soprattutto al partito del Pifferaio.

“La massoneria sana non dispone di alcun potere. L’unico potere che abbiamo ci deriva dall’onestà e dai principi di libertà, di fratellanza e di tolleranza”. A fare questa dichiarazione è Orazio Catarsini, massone da quarant’anni, ex preside di veterinaria ed ex venerabile del Goi (Grande Oriente d’ Italia).

Il notaio Giovanni Paderni, massone da tre generazioni, aggiunge: “Può darsi che la massoneria aiuti a far carriera, ma dire che influenzi la vita pubblica cittadina, o addirittura che comandi, è esagerato. Nelle logge messinesi avviene quello che potrebbe succedere al Rotary, ai Lions o al Kiwanis, dove se chiedi un favore a un fratello, quasi certamente ti viene fatto. La differenza fra i club service e le logge massoniche è che i primi si riuniscono in luoghi pubblici, le seconde nei templi”.

Ma queste, tutto sommato, sono le note di colore di una massoneria in crisi di identità. Gli aspetti seri cominciano ad affiorare quando si approfondiscono certi collegamenti. “Agli atti della commissione parlamentare sulla P2”, spiega Antonio Mazzeo, giornalista ed esperto di massoneria messinese, “c’è la richiesta di adesione dell’ex ministro Antonio Martino alla loggia di Gelli. Quando questo particolare fu reso pubblico, Martino smentì di essere stato piduista, ma non di avere presentato domanda alla P2. Chi invece non ha mai smentito di essere stato presente negli elenchi dell’ex materassaio di Arezzo, è Sebastiano Fulci, cugino dell’ambasciatore all’Onu. O Clemente Pullé, direttore del reparto di Ginecologia del Policlinico, esponente di punta della politica messinese. L’ex ministro democristiano Antonino Gullotti, molto vicino al gruppo imprenditoriale messinese della famiglia Franza, fu considerato da Gelli uno dei politici più affidabili del nostro Paese”.

Ci sono poi gli incroci fra la massoneria ufficiale e la Camea, la loggia di cui facevano parte il commercialista palermitano Pino Mandalari, uomo di Totò Riina, Angelo Siino, “ministro dei Lavori pubblici” di Cosa nostra, Giacomo Vitale (cognato del boss Stefano Bontade) e Francesco Foderà, tutti personaggi che alla fine degli anni Settanta hanno avuto un ruolo importante nel viaggio di Michele Sindona in Sicilia e nel finto rapimento del bancarottiere di Patti. “Tre messinesi appartenenti a Gladio”, prosegue Mazzeo, “sono risultati iscritti alla loggia Giuseppe Minolfi (filiazione del Grande Oriente d’Italia).

“Quando parlo di massoneria”, afferma l’ex sostituto procuratore generale, Marcello Minasi, “non mi riferisco a quella che ha una tradizione culturale e storica. Ma a un sistema trasversale e segreto che gestisce il potere ed ha collegamenti nazionali ed internazionali. Messina da decenni è dominata da questo sistema occulto. Ci sono le prove che l’Ateneo messinese sia stato in mano alla ‘ndrangheta calabrese: basti pensare al periodo in cui l’Opera universitaria era amministrata dal famoso don Stilo, parroco di Africo (Reggio Calabria), definito mafioso da una sentenza del tribunale di Torino. La situazione è degenerata successivamente, fino al delitto del professore universitario Matteo Bottari. Tra i silenzi generali, la Gazzetta del Sud, il maggiore quotidiano della città, scrisse a caratteri cubitali: ‘Il professor Bottari piaceva alle donne sposate’. A Messina – prosegue Minasi – c’è una paralisi delle istituzioni che non si riesce a spiegare se non con l’influenza di un potere indecifrabile”. Messina, Italia.