Abbiamo trovato sui Social – condivisa da centinaia di persone, al punto che non siamo riusciti a risalire all’autore – questa lucida analisi sulle cause dei disastri climatici che si sono verificati nei giorni scorsi a Catania e che stanno per abbattersi sulla città e sull’intera Sicilia orientale. In attesa di scoprire l’estensore dello scritto (col quale ci scusiamo) e di porre il suo nome in calce allo stesso, ci permettiamo di divulgarlo affinché i lettori approfondiscano una materia trattata in modo semplice e comprensibile.

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Spinto da fedeli lettori, mi accingo a descrivere scientificamente gli eventi delle ultime ore e di quelle future. Non volevo soffermarmi più di tanto sul caso Catania, ma ormai mi sembra imprescindibile per far comprendere ai confusi quello che è davvero avvenuto. Sono molte le ragioni che spiegano il disastro climatico che ha colpito la Sicilia in questi giorni. Molti sono asseribili al cambiamento climatico, ma non basta riempirsi la bocca con queste parole per sentirsi rassicurati, poiché ci sono responsabilità umane e politiche da analizzare che sono coinvolte in questa distruzione.

Partiamo con gradualità. Asserendo che tutti ormai accettino e comprendano cosa sia il surriscaldamento climatico, focalizziamoci sul Mediterraneo. Il Mediterraneo è il mare chiuso più grande del mondo. E anche quello più salato e ha una temperatura abbastanza elevata, di qualche grado superiore rispetto all’oceano. La sua morfologia ci permette di distinguere vari settori, dal mare d’Alberan all’Egeo, dal Tireno allo Ionio, e ognuno di questi settori ha profondità, salinità e temperatura differenti, a causa dell’evaporazione e soprattutto dalla lontananza sempre più crescente con l’unico sbocco naturale, ovvero lo stretto di Gibilterra.

Il Mar Nero tecnicamente si può considerare come facente parte del Mediterraneo, ma essendo a sua volta distaccato dal “mare centrale” tramite i Dardanelli, viene considerato una zona climatica a sè. Ora, la peculiare morfologia del Mediterraneo e le sue differenze in termini di salinità, profondità e temperatura comportano che sia tra i mari più variegati del pianeta.

È vero anche che è tra i meno esposti ad alte variazioni di temperatura, presentandosi principalmente come una striscia di mare orizzontale tra due continenti, ma anche il Mediterraneo ha i suoi uragani, che tecnicamente si definiscono Medicane – da Mediterranean Hurricane – o fronti temporaleschi. I Mediacane mediamente sono meno potenti degli uragani che affliggono i Caraibi e anche meno estesi, ma formandosi in un mare stretto e particolarmente caldo, che evapora molto più velocemente di quanto assorba le piogge, quando “nascono” quasi subito si ritrovano ad impattare su isole e continenti, andando sì ad abbassare la propria irruenza, scaricando la pioggia e il vento, ma anche a infrangersi subito con le comunità umane che vivono in questi territori.

I Mediacane perciò non riescono quasi mai a raggiungere il livello di Uragani di allerta 2 come per i loro cugini dell’Atlantico, ma sono ugualmente dannosi perché nascono velocemente e scaricano la loro violenza in territori storicamente sovrappopolati e civilizzati.

Arriviamo a Catania. Questa città è stata fondata quasi 2500 anni fa. Come moltissime città siciliane, è stata fondata da coloni greci, vista mare e nei pressi di una risorsa idrica molto vasta, un lago che oggi è stato inglobato dai palazzi del capoluogo. Catania non è soltanto città di colate laviche ed eruzioni, ma è anche sinonimo di pianura, tanto che la sua piana è la più grande di Sicilia e nella sua provincia ricadono molti dei fiumi più lunghi dell’isola.

Sfortunatamente Catania è il regno della cementificazione. I politici da decenni hanno permesso di deturpare il territorio, tanto da rendere la provincia catanese in rapporto con la popolazione quella più asfaltata, non solo in Sicilia ma dell’Italia intera. Questo vuol dire che centinaia di ettari di suolo sono andati perduti nella sola città di Catania.

Migliaia di ettari di suolo assorbente in tutta la provincia, che tolta l’Etna non presenta chissà quali promontori alberati. Come ben sanno geologi, agronomi e naturalisti, il suolo non è solo una superficie, ma è anche una spugna che trattiene l’acqua in eccesso e che permette alle piante di assorbirne ancora di più. Persi perciò migliaia di ettari di campagne, asfaltando centinaia di strade e piazze senza alcun criterio, avendo già un territorio già impermeabile, ecco che l’acqua in eccesso di questi giorni si è scaricata direttamente in massa verso gli unici sbocchi artificiali rimasti per defluire, ovvero le strade di Catania e dei paesi vicini.

Ovviamente non basta asserire questo per trovare i colpevoli di questo disastro. La desertificazione e il diradamento del suolo sono solo due dei problemi che affliggono la provincia. A complicare però il quadro abbiamo: 1) gli incendi boschivi che hanno devastato gran parte dell’isola questa estate, 2) i cumuli di immondizia che hanno bloccato i tombini, 3) una storia di amministrazione comunale davvero infelice negli ultimi 30 anni, 4) l’azione delle correnti marine ioniche che spingono le tempeste proprio in quell’area, formando il cosiddetto Ionic/Mediterranean stream che funge da vortice e motore dell’instabile nursary temporalesca del Canale di Sicilia, 5) un territorio franoso nella sezione vicino ai Nebrodi e infine 6) una gestione preventiva dei disastri davvero carente, quando si parla di eventi temporaleschi.