Se qualcuno volesse capire cos’è la mafia nel suo significato più profondo, deve leggere una notizia di oggi: “Il capomafia palermitano Giuseppe Cusimano sarebbe stato il punto di riferimento per le famiglie indigenti del quartiere Zen e avrebbe tentato di organizzare una distribuzione alimentare per i poveri durante il primo lockdown del 2020” (Ansa). 

Bastano notizie come queste per capire come anni di lotte, di morti, di educazione alla legalità rischiano di essere vanificati da fatti del genere. Dopodiché continuiamo pure a gridare che “la mafia fa schifo”, che “è una montagna di merda”, che “è brutta sporca e cattiva”, ma fino a quando non capiremo che essa arriva dove lo Stato non arriva, a vincere sarà sempre lei.

La mafia non è solo quella che fa gli attentati e i delitti eccellenti: quello, diciamo, è il volto più “spettacolare” che vediamo in tivù. La mafia è un’entità che si insinua silenziosamente nel tessuto economico e sociale delle nostre città, dove lo Stato non è mai esistito, ha il volto rassicurante del boss della porta accanto che quotidianamente chiede: “Ha bisogno cosa?”.

E siccome in certi rioni abbandonati delle nostre città c’è sempre un disagio da rivendicare o un favore da chiedere, il boss diventa il benefattore al quale “tutti”, indistintamente, devono sempre qualcosa. Niente di particolare (specie per chi ritiene che il voto abbia meno valore di un telefonino o di un televisore al plasma), ma “qualcosa” la devono: una semplice ics alle elezioni sul faccione indicato dal “salvatore” e il debito è saldato.

È così che il capomafia palermitano Giuseppe Cusimano è diventato il punto di riferimento degli abitanti dello Zen, dove l’infanzia, in molti casi, non è gioco, scuola, musica e teatro, ma scippi, rapine, spaccio e prostituzione. In questo momento tutti i Cusimano che esistono nei quartieri poveri e degradati delle nostre città, hanno la forza che può consentire loro – o ai loro rappresentanti – di essere eletti in un Consiglio comunale o in Parlamento.

Il fatto che questo tizio sia diventato “un simbolo”, soprattutto nel periodo del lockdown, la dice lunga sulle strategie della politica per fronteggiare la povertà in tempi di coronavirus. I ristori – laddove ci sono stati – hanno raggiunto soltanto i “visibili”, quelli delle casse previdenziali. E gli “invisibili”, che la cassa previdenziale manco sanno cos’è, quell’esercito di posteggiatori, di venditori ambulanti, di camerieri, di raccoglitori stagionali, di puttane, di lavoratori abusivi o in nero, cosa hanno per campare? Da chi vengono aiutati? Le istituzioni si sono mai poste questo problema?

È un tema poco affrontato, ma temiamo che sia il vero nervo scoperto di questo Paese. Col recovery plan abbiamo una grande occasione per cambiare questi luoghi sfortunati come lo Zen, Librino, le Vele, Scampia realizzando scuole, parchi, impianti sportivi, piazze, auditorium, biblioteche e creando le condizioni per dare lavoro, tanto lavoro. È una occasione irripetibile. Non può essere sprecata.

Nella foto: uno scorcio del quartiere Zen di Palermo

Luciano Mirone