È morto uno dei più grandi talenti del calcio catanese, Mario Samperi, 76 anni, “centrocampista dalla classe sopraffina” (come si è scritto), nato a Catania il 3 gennaio 1944, che per una serie di combinazioni del destino non ebbe la stessa fortuna del compianto Pietro Anastasi (suo coetaneo, conterraneo e compagno nella mitica Massiminiana di Catania), il quale fra gli anni Sessanta e Settanta fu protagonista di un pezzo della storia della Juventus e della Nazionale. Ne dà notizia Nino Massimino (nome della Catania calcistica che conta) sulla pagina Facebook, Calciatori siciliani d’altri tempi.

Samperi nello stesso periodo restò ai piedi dell’Etna scrivendo comunque delle pagine memorabili nello straordinario libro del calcio siciliano di allora. All’inizio, come detto, giocando con la Massiminiana dei fratelli Massimino, poi col Catania in serie A, quindi con altre squadre del calcio isolano come il Paternò e il Modica.

La Massiminiana degli anni d’oro al Cibali. Sopra: la squadra giallorossa in un’altra partita (foto tratta dal sito mimmorandazzo. Collezione Salvo Consoli)

Anche se il sottoscritto non ha mai avuto la fortuna di vederlo giocare, di Samperi ha sempre sentito parlare – da ex compagni di squadra, da avversari e da tifosi – come di un fenomeno calcistico che poco aveva da invidiare ai migliori giocatori della serie A di quegli anni. Grande visione di gioco, lanci da quaranta metri, marcatore frequente malgrado il ruolo di centrocampista.

C’è una foto alla quale i tifosi catanesi degli anni Sessanta sono particolarmente affezionati: un contrasto fra lui e il grande Mariolino Corso – il celeberrimo autore delle punizioni a “foglia morta” – al Cibali, in un Catania-Inter degli anni Sessanta, quando il presidente della società era Ignazio Marcoccio, l’allenatore Carmelo Di Bella, l’immaginario collettivo galvanizzato per quel “clamoroso al Cibali” scandito da Sandro Ciotti nel 1961 a “Tutto il calcio minuto per minuto”: due gol dei rossazzurri (Castellazzi e Calvanese) rifilati negli ultimi minuti alla grande squadra di Helenio Herrera, il tecnico che, nei giorni precedenti, alla vigilia della trasferta in terra sicula, aveva detto: “Adesso andiamo da quei post telegrafonici del Catania, gliene rifiliamo quattro e torniamo a Milano”. Quella domenica le cose andarono diversamente e l’allenatore spagnolo dovette tornare a Milano con le pive nel sacco.

Il mitico contrasto fra Corso e Samperi in un Catania-Inter degli anni Sessanta

Lo scatto che qualche anno dopo immortala Corso e Samperi è molto bello, perché documenta che le qualità di un giocatore si intravedono (anche) dalla postura, dalla dinamica, dal movimento in cui – in quel millesimo di secondo – il fotografo fa click. Non sappiamo chi – fra i due – vinse quel contrasto. Sappiamo però – perché si vede, e le testimonianze lo confermano – che lo scontro era alla pari. Solo che Mariolino Corso era nato a San Michele Extra, in provincia di Verona, e Mario Samperi nella città più industriale del Sud, ma calcisticamente non organizzata come le grandi società del Nord.

Fu questa, probabilmente, la differenza fra un calciatore come Samperi (e non solo) e quelli che calcavano i campi erbosi del Settentrione. Eppure Mario ha vergato pagine epiche di quell’indimenticabile calcio siciliano d’altri tempi: come dimenticare la finale al Cibali nel campionato di serie D fra la Massiminiana di Anastasi (capocannoniere seppure ancora giovanissimo) e il Paternò, davanti a 28 mila spettatori? Quell’anno si parlò insistentemente del passaggio di “Petru ‘u turcu” alla società rossazzurra. Invece il destino invertì le sorti: Anastasi venne acquistato dal Varese (la storia la conoscono tutti: il presidente della squadra lombarda, allora in Sicilia per affari, passò dal campetto di allenamento della Massiminiana attiguo all’aeroporto catanese, restò impressionato dal talento del giovane centravanti e lo portò al Varese, da dove l’anno successivo sarebbe passato alla Juve di Agnelli), Samperi andò al Catania legando il suo destino a quello della società rossazzurra, che in quegli anni visse stagioni favolose, ma forse non seppe valorizzare pienamente, come meritavano, i giovani talenti del vivaio locale, anche perché l’ottimo Mario aveva davanti il grande Cinesinho.

Eppure non ebbe rimpianti. Negli anni successivi continuò a sbalordire le folle degli stadi minori, che ancora lo ricordano con affetto e ammirazione.

Luciano Mirone