Claudio Fava, l’ipotesi della simulazione nel fallito attentato all’ex presidente del Parco dei Nebrodi Giuseppe Antoci, è robusta, attendibile? “Ahimè sì”, risponde. E ripete: “Ahimè sì”. Il che – detto da una figura autorevole come il presidente della Commissione antimafia della Regione Sicilia, con un’esperienza straordinaria di giornalismo di inchiesta, per giunta abituato a misurare le parole e a scandirle non a casaccio – vuol dire: l’ipotesi è agghiacciante, inconfessabile, ma ci sono parecchi dubbi che non sono stati fugati, nel senso che in quella direzione non si è indagato abbastanza. Anche perché due agenti della scorta, secondo le vedove, sono morti in circostanze misteriose (si è indagato su questo?) e quindi non possono testimoniare.

Sul fallito attentato che nella notte fra il 17 e il 18 maggio 2016 sconvolse la vita ad Antoci, autore dello straordinario Protocollo, che non consente alle aziende in odor di mafia di accedere agli ingenti contributi europei, Claudio Fava dà l’impressione di sapere più di quanto non dica.

“Ho detto in più occasioni ufficiali – afferma – che tra le ragioni che ci hanno mosso ad aprire questa indagine, c’è anche il fatto che certe valutazioni di estrema perplessità sulla ricostruzione ufficiale dei fatti sono arrivate dall’interno delle istituzioni giudiziarie e investigative (non dalla Commissione che presiedo), con nomi e cognomi, e ho anche detto di essere disponibile, davanti a un pubblico ministero, a dire chi sono i magistrati e gli ufficiali di polizia giudiziaria che in tempi non sospetti, su questa vicenda, hanno detto: secondo noi non c’è stato alcun attentato”.

L’ex presidente del Parco dei Nebrodi, Giuseppe Antoci. Sopra: il presidente della commissione antimafia della Regione Sicilia, Claudio Fava

Chi sono?

“Quando e se mi dovesse chiamare un Pm sarei ben felice di fornire nomi e cognomi”.

Quindi esistono figure istituzionali che hanno avanzato questi dubbi?

“Sì. E li hanno ribaditi, come fonti confidenziali, ai giornalisti di Report, dell’Espresso, de La Sicilia, di Centonove, eccetera: l’attentato non c’è mai stato! Anche questa poteva essere un’attività di indagine ulteriore”.

 Addirittura si è detto che “l’attentato non c’è mai stato”?

“In Commissione è emerso (da quello che raccontano i giornalisti) che c’erano delle perplessità sulla ricostruzione ufficiale di questa vicenda, manifestate da autorevoli ambienti romani e siciliani. Nemmeno questi giornalisti sono stati ascoltati dai magistrati di Messina”.

E però diversi componenti della scorta – a cominciare dall’ex dirigente del commissariato di Sant’Agata di Militello, Daniele Manganaro, che secondo la ricostruzione ufficiale, avrebbe messo in fuga gli attentatori – sono stati promossi per aver salvato la vita ad Antoci. 

“L’indagine della Commissione regionale antimafia ha avuto il torto e il merito di accendere un riflettore su una vicenda che era stata collocata su un binario morto. I poliziotti, che avendo sventato un’apocalittica strage mafiosa e che avrebbero meritato di essere premiati il giorno dopo, per quattro anni sono rimasti lì, in attesa. Improvvisamente, dopo la relazione, si decide di premiarli. Dopo la relazione, non prima”.

Dopo che il Gip di Messina ha archiviato la relazione della Commissione regionale antimafia, hai affermato che la vostra relazione ha toccato dei “nervi scoperti”. In che senso?

“Non ho mai visto una vicenda giudiziaria così raffazzonata. L’inchiesta si conclude con la richiesta di archiviazione della Procura, che dice: non ci sono mandanti, non ci sono esecutori, non ci sono colpevoli, dobbiamo archiviare. Il Gip conferma: archiviamo. Di fronte a questa rassegnata ammissione su quello che veniva considerato ‘il più clamoroso attentato dopo Capaci e via D’Amelio’, e di fronte alle perplessità che circolavano in ambiti istituzionali, la Commissione ha fatto un lavoro e ha proposto un pacchetto di ipotesi che secondo noi stavano tutte sul campo. La Procura della Repubblica, dopo la prima archiviazione, in seguito alla trasmissione della nostra relazione, ha ritenuto di riaprire l’indagine, ma senza fare alcun atto istruttorio e chiedendo di nuovo l’archiviazione. Ora, se riapri le indagini, qualche atto istruttorio lo fai, fai un confronto fra due funzionari di Polizia (due funzionari di Polizia, non due avventori al bar), che sullo stesso episodio danno due versioni differenti, ascolta il comandante della Stazione dei carabinieri del paese in cui avvengono i fatti, chiedi un supplemento di perizia sulle pietre che avrebbero ostruito la carreggiata per bloccare il passaggio della macchina di Antoci (anche questo sarebbe stato importante per capire se quell’ostacolo si sarebbe potuto forzare o meno). Nulla di tutto questo viene fatto. Allora perché riapri l’indagine?”.

Perché?

“Mi sembra un’operazione di pura facciata. Intollerabili mi sembrano le cose che dice il Gip quando parla di ‘illazioni’ contenute nella relazione, in cui verrebbe attribuita ad Antoci una presunta ‘complicità’ nella simulazione dell’attentato. La nostra relazione dice esattamente l’opposto: ovvero che Antoci, in quel momento, dorme in macchina, nulla sa, nulla vede, tutto gli viene raccontato, quindi riteniamo che sia vittima (ribadisco: vittima) o di un attentato mafioso, o di un avvertimento o di una simulazione”

E quindi?

“Quindi facciamo finta di riaprire, facciamo finta di indagare di nuovo e chiudiamo”.

Per quale ragione?

“Perché c’è un nervo scoperto rispetto al quale Antoci ha un ruolo marginale”.

Quale?

“Che se siamo di fronte a una simulazione, si tratta di uno degli episodi più gravi della storia repubblicana”.

È un’ipotesi sulla quale non ci sono elementi.

“Infatti dico ‘se’. Qui non ci troviamo di fronte a un signore che si manda la pallottola, la testa di capretto o si fa la telefonata: avremmo altro. E su questo andrebbero fatte delle domande precise. È stato fatto? E una cosa sulla quale si preferisce evitare ogni domanda che vada fuori dal seminato”.

Quale sarebbe stato il fine della simulazione?

“Non è compito mio, o nostro, indagare sul fine di una possibile simulazione. C’è una Procura della Repubblica, per questo. La quale pensa che non ci sia stata alcuna simulazione. Amen. L’appunto che faccio io è la loro scelta di non volere approfondire alcuni spunti investigativi”.

Nell’audizione che Antoci fa di recente davanti alla Commissione nazionale antimafia, mette in dubbio l’attendibilità di un funzionario di Polizia, il dott. Mario Ceraolo (ex commissario della Polizia di Stato di Barcellona Pozzo di Gotto), che voi avete messo al centro delle vostre audizioni.

“Ceraolo è uno dei quarantotto auditi. E’ stato ascoltato perché ha detto di essere stato incaricato dall’allora procuratore di Messina, Guido Lo Forte, di indagare informalmente sul fallito attentato ad Antoci e di avere scoperto delle cose molto interessanti. Noi lo abbiamo ascoltato, come abbiamo fatto con gli altri, perché il nostro metodo è di ascoltare tutti, nessuno escluso”.

L’ex presidente del Parco dei Nebrodi porta un documento col quale dimostra delle cose gravissime sul passato investigativo di Ceraolo: addirittura nell’atto si parla di firme che sarebbero state falsificate dall’ex commissario di Barcellona.

“Antoci non ha titolo per attribuire attendibilità a un funzionario di polizia”.

Però ha portato dei documenti.

“Un funzionario di Polizia che riceve un mandato da un procuratore della Repubblica va sentito”.

È certo che Ceraolo ebbe questo incarico informale da parte di Lo Forte?

“Questo è ciò che ci è stato riferito da Ceraolo, ma l’ex procuratore della Repubblica, Lo Forte, non ha né smentito né confermato”.

Però qualche sostituto della Procura di Messina ha smentito.   

“Certo. Anche su questo si poteva chiedere (la magistratura ha il potere di farlo) al procuratore Lo Forte, nella sua veste di ex coordinatore delle indagini, come erano andati i fatti. Non è stato fatto. Noi, come Commissione, abbiamo cercato di farlo, ma Lo Forte ha ritenuto di non essere ascoltato (cosa che era nelle sue facoltà): ‘Sono in pensione’, ha detto. Ma chi ha titolo di dare una patente di attendibilità a una inchiesta? Il signor Antoci? Se due investigatori (Mario Ceraolo e Daniele Manganaro), che operano a cinquanta chilometri di distanza l’uno dall’altro, dicono delle cose diametralmente opposte, io, da magistrato, li chiamo, li metto a confronto (come insegna la dottrina delle investigazioni) e cerco di capire. Non aspetto che sia il signor Antoci a dirmi ‘questo è credibile e questo no”.

Luciano Mirone

2^ puntata. Continua