“Eroine”, il romanzo d’esordio di Vinicio Leonetti, “giornalista di razza” della Gazzetta del Sud (come lo definisce il vice direttore di Repubblica, Sergio Rizzo, che ha curato la prefazione), dove si occupa di nera e di giudiziaria, ma anche collaboratore di altre testate prestigiose come il Corriere della sera, Milano Finanza, il Sole 24 Ore, Il Mondo, Capitale Sud, la Rai e la Tv svizzera, in cui scrive anche di economia e di politica. Un libro – edito da la Città del Sole – di 184 pagine che lascia col fiato sospeso dalla prima all’ultima riga, perché Leonetti in questo romanzo mischia abilmente realtà e fantasia, creando il verosimile per rendere paradigmatica la storia che racconta. Bastano poche righe per dare il senso di quello che diciamo: “Io ho perso l’anima per le strade di Palermo, e non ho un credo preciso. Parto dal presupposto che dietro ogni guerra non ci sono idee ma tanti soldi. E chi lotta per le idee s’illude. O accetta patti… Poi però ci imbottiscono di film, onore, coraggio e bandiere”. Quelle che seguono sono rispettivamente la prefazione di Sergio Rizzo e un brano del libro (luciano mirone).

Vinicio Leonetti. Sopra: la copertina del libro

“Quella che state per leggere non è una storia vera ma prende spunto da vicende realmente accadute. A dimostrazione del fatto che niente meglio della realtà offre materia alla fantasia, quando si ha la bravura di coglierne le suggestioni. La protagonista principale si chiama Marisa ed è nata dalla parte sbagliata della società. La parte nella quale domina la violenza, la sopraffazione e il sopruso: dove la legalità semplicemente non esiste. Marisa ne ha vissuto integralmente la brutalità, assimilandone anche la crudezza dei rapporti. Ma non è stata del tutto domata, c’è ancora in lei una scintilla che le permette di separare il bene dal male. E quando questa scocca, la sua vita prende fuoco. Marisa si trova improvvisamente catapultata nella parte giusta della società, costretta però a recitare una parte sbagliata in un vortice di sentimenti forti al punto da risultare scioccanti: come fossero il marchio indelebile della sua vita precedente.

Chi ha visto Nikita, quel film nel quale si narra la vicenda di una piccola criminale che viene consegnata da una sanguinosa rapina fallita a un ruolo di killer per conto dello stato, non faticherà a scorgere analogie fra la storia portata sul grande schermo ormai trent’anni fa dal regista francese Luc Besson e le vicende della nostra protagonista. Con la differenza che il percorso della redenzione di Marisa risulterà molto più accidentato rispetto a quello della ragazza assassina impersonata dalla bravissima attrice Anne Parillaud perché lo stato, dopo averla utilizzata, non sarà in grado di proteggerla da chi vuole vendicarsi. E lei si dovrà proteggere da sola, varcando di nuovo per un momento la soglia del lato sbagliato della società.

Conosco Vinicio Leonetti da molti anni e il suo rigore da giornalista di razza, che non lascia niente al caso e non si limita a osservare i fatti in superficie. Un rigore che ha trasferito in questa sua prima sorprendente prova da narratore, dove ogni passaggio cruciale o colpo di scena rende inevitabile una riflessione. La forza e il coraggio delle donne, innanzitutto: capaci di ribellarsi a un destino che sembra già scritto, mettendo in gioco la loro stessa esistenza. Come nessun uomo lo sarebbe mai. Ma anche la fragilità di uno stato che per debolezze o complicità si rivela facile vittima di trame e manipolazioni criminali. E qui il romanzo ci riporta bruscamente alla cronaca vera, che di queste debolezze e complicità è stata costellata senza soluzione di continuità negli ultimi decenni, fino a trasformare l’Italia nel Paese dei misteri, delle menzogne e delle verità amputate. Dove il confine fra il potere legittimo e gli interessi mafiosi ed eversivi ha rivelato di essere pericolosamente indefinito. Buona lettura” (Sergio Rizzo).

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La macchia rossa infuocata s’avvicina sempre più fino a farmi capire dove mi trovo: in un cesso. Da una parte i giardinetti e le case basse dei resort, sul retro solo fottuta sabbia e qualche roccia sparsa. Ma la storia di Violetta è su tutti i giornali e nei talk show. Allora come facciamo a colpire i cuori di italiani e americani? Facendo gli eroi in trasferta. Se poi cadi nel fosso sono cazzi tuoi, perché non lo saprà mai nessuno. Neanche la tua famiglia, se ce l’hai. Se invece ce la farai nella missione impossibile t’intervisteranno per una settimana, dieci giorni. Poi di nuovo nel dimenticatoio. Perché la gente vuole nuove vittime, altri eroi, minchiate differenti. La gente non riesce proprio a farsi i cazzi suoi. Quell’enorme macchia rossastra non ispira grandi cose. Preferisco le montagne dell’Appennino, il verde della Svizzera, il fresco dell’Irlanda. Il mare della Sicilia. I campi da golf intorno a Stonehenge. Sì, vabbè. Però adesso sto atterrando a Sharm El Sheikh. E sono sicura di avere dimenticato la mia spazzola e qualcos’altro. Vorrei sapere chi cazzo ha detto al boss di prendere proprio me nel team per sbattermi nel deserto.
Le ruote del Boeing toccano terra e dico che è fatta anche stavolta. Ma il ballo comincia adesso. La prima fase, quella della sopravvivenza al volo è andata. Mi sento coi capelli in disordine e troppo vestita quando a terra vedo tutti sbracciati e con le
infradito. Sì, un paio di costumi li ho ficcati nel trolley, in fretta, i primi che ho trovato. Ho solo oggi per prendere un po’ di sole. Lo farò, se mi lasceranno in pace. E non ne sono tanto convinta.

Nell’aeroporto che sembra poco più d’un capannone in Brianza si muove tanta gente senza valigia, che non corre e si guarda intorno. Ambiente ostile. Non mi piace generalizzare, ma trovo gli arabi sempre troppo seri. Ma quando ridono?! Al timbro del passaporto il bell’egiziano moro in divisa mi passa ai raggi X senza scanner. Come se non vedesse una donna da un decennio. Troppo scollata? Io mi sento troppo vestita. Non mi toglie lo sguardo di dosso, e me ne fotto. Mettimi quel timbro che me ne vado. E quando vedo l’inchiostro blu tiro un sospiro di sollievo. Nessuna parola. Solo sbirciate profonde da occhi neri che scavano più d’una Tac. Turista solitaria in cerca di cazzi? No, non me l’avrebbe mai chiesto. Risposta possibile: il mio boyfriend mi raggiungerà presto. Anche se non ho la faccia della bellina che aspetta l’uomo. Qui bisogna sbrigarsi. Un paio di giorni, massimo tre, poi si torna a casa. E chi s’è visto s’è visto. Pronta per altri morsi. La camera con vista su piscina non era in conto. Si saranno sbagliati. Teresa è la solita stronzetta che ogni tanto mi vuole fare belle sorprese per non apparire troppo stronzetta. Guardo la doccia tutta cristalli e non resisto, mi ci butto dentro. Elimino tutto per qualche momento. Il telefonino non squilla e mi sembra la festa di santa Rosalia. C’è persino un accappatoio bianco tutto per me col marchio del villaggio, che però puzza di tintoria. L’infilo, ma non resisto nemmeno due minuti. Nuda davanti allo specchione tento di rimettermi a posto con l’unico pettine che ho. Fuori sento gente che si tuffa, m’affaccio, e non resisto neanche stavolta. Mi fiondo in piscina come una star, senza trucchi tranne quelli che porto dentro. Nonostante i quaranta ci sono ancora uomini che si girano quando passo. Sarà per il mio culo brasiliano, mi diceva un mio ex. Me lo dicono anche in quel covo di matti dove mi tocca lavorare.

Redazione