Ventisette anni. E sentire “la rabbia di andare avanti a tutti i costi, anche quando ti accorgi di essere totalmente sola”. Ventisette anni. E ricordare… Una sera fredda di gennaio (l’8 gennaio 1993) a Barcellona Pozzo di Gotto, quando il piombo di Cosa nostra colpiva uno dei rappresentanti più coraggiosi e onesti del giornalismo siciliano, Beppe Alfano, depositario di inquietanti segreti sulla latitanza del boss più protetto al mondo, quel Nitto Santapaola che nove anni prima, a Catania, aveva fatto uccidere un altro giornalista col vizio della verità, Pippo Fava. Santapaola, in quel momento, era nascosto in questo paesone situato sulla costa tirrenica in provincia di Messina. E Alfano aveva individuato il covo, scoprendo i motivi per il quale il boss catanese si nascondeva proprio in questa città dalla quale, appena otto mesi prima, era partito il telecomando per fare a pezzi Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani.

Sonia Alfano

Dopo ventisette anni Sonia, la figlia di Beppe (ex presidente della Commissione parlamentare europea, di cui è stata fondatrice) non si rassegna “alle ingiustizie e ai silenzi” seguiti dopo l’assassinio di suo padre. E in questa intervista in due puntate (la seconda sarà pubblicata domani) racconta perché, denunciando anche i depistaggi dell’inchiesta e il silenzio di ministri, di magistrati, di giornalisti che “non vogliono fare luce su un delitto commesso nel contesto della Trattativa Stato-mafia”.

“Quello che mi manca maggiormente di mio padre – dice Sonia – è il sostegno in momenti in cui ti viene voglia di non credere più a nulla, di uscire sui giornali con le peggiori dichiarazioni per dire: ‘Questo Paese non merita niente’, perché un Paese che continua ad avvitarsi su se stesso pur di omettere verità, pur di dire bugie, è un Paese senza memoria, senza coscienza civile, non abituato a fare i conti con la verità, non abituato a chiedere verità e a pretendere verità”.

Quali sono i momenti in cui tuo padre ti manca di più?

“Quando entro in un’Aula di Tribunale e mi accorgo di essere sola contro lo Stato, non soltanto contro gli imputati”.

Triste quello che dici.

“E’ uno Stato al quale devi sbattere in faccia la verità per far riaprire le indagini e per non farle chiudere, la stessa verità che lo Stato dovrebbe cercare e non cerca”.

Perché questo Paese dimentica così in fretta?

“Perché la morte di mio padre è ‘non classificata’, altro che morte di serie A o di serie B”.

In che senso?

“Non riesco a trovare le parole per raccontare che un Prefetto, lo scorso anno, ha dimenticato di invitare la famiglia Alfano in occasione della commemorazione delle vittime di mafia. Bisogna ricordarlo persino a un Prefetto che Beppe Alfano è la prima vittima di mafia in assoluto della provincia di Messina? Ci ha chiesto scusa, ok, ne prendo atto, ma questo non cancella il dolore inflitto a una famiglia”.

Eppure in televisione si fanno un sacco di fiction sulla mafia.

“La tivù pensa alla spettacolarizzazione, non all’utilità di un racconto. Tutto questo finisce con l’appiattire le coscienze. Questo è un Paese che crede ancora alla favola del Capitano Ultimo (Sergio De Caprio, oggi Colonnello dei Carabinieri, ndr.) che ha catturato Totò Riina, ma se chiedi a qualcuno se conosce i particolari più misteriosi di quell’operazione (a cominciare dalla mancata perquisizione del covo) o gli strani atteggiamenti del Ros in provincia di Messina, che hanno visto come protagonista proprio il Capitano Ultimo, non ti sa rispondere. Questo è un Paese che cresce con i fumetti che fanno la classifica dei buoni di serie A, di serie B e dei mai pervenuti”.

Perché?

“Probabilmente la vicenda di mio padre non ha mai interessato il contesto politico. E’ uno dei pochissimi casi in Italia che ha ricevuto non una, ma ben tre volte la visita in Cassazione. È un caso che racchiude troppe cose: la Trattativa, la latitanza di un boss intoccabile come Santapaola, il traffico di droga e di armi, il Piano regolatore di Barcellona Pozzo di Gotto, lo scandalo all’Unione europea nel settore delle truffe agrumicole. Un Paese civile non ammetterà mai di aver spedito a casa di Beppe Alfano, la sera dell’omicidio, il Ros, lo Sco e i servizi segreti, perché sapeva che c’era Santapaola nella zona di Barcellona Pozzo di Gotto”.

Santapaola all’epoca era latitante proprio a Barcellona e tuo padre era sulle sue tracce, giusto?

“Giusto. A distanza di anni (15 ottobre 2003), in occasione di un interrogatorio reso alla Procura di Messina, i rappresentanti del Ros, dello Sco e dei servizi, alla domanda ‘Perché non avete arrestato Santapaola?’, hanno risposto: ‘Perché l’ordine non era quello di arrestarlo, ma di fargli mancare il terreno da sotto i piedi per farlo spostare’. Mentre lo Stato giocava a guardie e ladri, mio padre veniva ucciso, quando poteva essere salvato”.

A proposito di fiction. Anni fa la Rai doveva realizzarne una su tuo padre. Che fine ha fatto?

“E’ successo che qualche politico importante di Barcellona sia andato alla Rai, abbia sbattuto i pugni sul tavolo e la fiction è svanita come una bolla di sapone. Ero stata contattata dal regista Graziano Diana, dall’attore che doveva impersonare mio padre, Beppe Fiorello, e dalla direttrice di Rai fiction, Paola Masini”.

Quindi era quasi fatta?

“Assolutamente sì. Ero stata a Roma diverse volte con Graziano Diana per rifinire meglio la sceneggiatura. Bisognava fare solo i casting: so per certo che è arrivato il fermo totale”.

Luciano Mirone

1^ puntata. Continua