Sarà la scarsa illuminazione o quella mano di colore scuro data alla facciata qualche decennio fa, fatto sta che da questi pochi elementi si percepisce come uno dei simboli più straordinari della cultura italiana, il Teatro Bellini di Catania, non viene valorizzato come merita. Se a questo aggiungiamo che “attualmente entra acqua dappertutto e ci sono affreschi che si stanno sbriciolando”, possiamo farci un’idea del trattamento riservato a questo tempio della musica che “rischia la chiusura se la politica non farà la sua parte”.

Qui per amore del teatro c’è gente – fra i 200 stabili e i 50 precari – che sale sui tetti o che addirittura “ha perso la casa, si è ridotta sul lastrico, ha moglie bisognosa di cure con tre o quattro bambini da mantenere”.

Poi c’è un “precario storico” che per comodità chiamiamo Mario, addetto all’apertura dei cancelli la mattina, la sera e anche durante gli spettacoli. ‘Se deve stare lì – gli disse una volta un Sovrintendente – deve stare con giacca e cravatta, non col giubbottino e la maglietta’. In realtà Mario non poteva comprarsi un vestito. Gli amici del teatro fecero una colletta e gli comprarono il vestito, che lui utilizzò anche per il matrimonio della figlia. Storie belle e tristi quelle che si verificano all’interno del tempio della lirica catanese.

Certo, sono lontani i tempi in cui questo teatro – progettato da Carlo Sada ed inaugurato nel 1890, dopo quasi un secolo di lavori (la prima pietra fu posta nel 1812) – contava 14mila abbonati, più di quelli del Catania calcio, a fronte dei 7mila di quelli odierni. Sono lontani i tempi delle grandi esibizioni di artisti come Gigli, Del Monaco, la Callas, Pavarotti e come tantissimi altri, eppure il “teatro dei catanesi” conserva il fascino e le potenzialità di sempre.

Antonio D’Amico, palermitano, da una ventina d’anni è violinista al “Bellini”. Da diverso tempo, da sindacalista della Cisl, difende i diritti dei lavoratori dell’ente. Sulla paventata chiusura del teatro ha molto da dire. Lo fa senza peli sulla lingua, conservando comunque, in un momento drammatico come questo, “quell’ottimismo necessario per andare avanti”. E l’ottimismo, oggi, ha il volto di Vincenzo Bellini, al quale domani 2 e dopodomani 3 novembre sarà dedicato un grosso concerto in occasione del 218° anniversario della nascita, avvenuta a Catania il 3 novembre 1801.

Ritratto di Vincenzo Bellini

“Pare che la politica si stia muovendo, anche se ancora molto lentamente”, dice il sindacalista. “Qualche giorno fa il governo nazionale ha sbloccato un milione e mezzo destinato al teatro. A questo bisogna aggiungere che il sindaco Salvo Pogliese ha promesso 350mila Euro per salvare il 2019. Il governatore della Sicilia, Nello Musumeci, da cui il Bellini dipende, dice che, pur non potendo garantire la triennalità, assicurerà l’annualità, sbloccando i 13 milioni 600mila Euro necessari per farci andare avanti”.

Cosa farete nell’immediato?

“Tutto quello che non siamo riusciti a fare a ottobre, fino al concerto di capodanno, cominciando alla grande domani per festeggiare la nascita del Cigno catanese”.

Come comincia questa storia?

“Da quando alla Regione Sicilia – governatore Raffaele Lombardo – si è accorciata la coperta dei finanziamenti pubblici e anno dopo anno sono stati tagliati i fondi per il teatro. Il colpo decisivo lo ha sferrato il governo Crocetta che ha usato la mannaia. Praticamente da 19 milioni siamo a scesi a 15, poi a 14, e ora siamo a 13 milioni e 400mila Euro (la cifra minima per fare sopravvivere la struttura). A questo bisogna aggiungere qualche gestione fallimentare risalente ad alcuni anni fa. Il teatro è una macchina complessa, come gli ingranaggi di un orologio: anche una piccola rotella è così importante da fare muovere quella più grande. Questo meccanismo si è inceppato. Basta immaginare che non ci sono più le figure degli amministrativi che fanno un bilancio. Nel frattempo sono cresciuti i precari che oggi, dopo vent’anni, sono diventati storici”.

Andiamo al momento attuale.

“Lo scorso 8 agosto (ultimo giorno utile prima delle ferie) l’Assemblea regionale siciliana (Ars) avrebbe dovuto votare un finanziamento triennale per il Teatro Bellini su richiesta della giunta regionale. Ebbene: quel giorno l’Ars non approva. All’inizio sembrava una scelta scellerata di Miccichè (‘Andiamo tutti in ferie’), poi abbiamo scoperto che non c’era copertura finanziaria”.

Addirittura.

“Non è finita. Ad agosto il teatro rimane senza triennalità, a settembre la prima cosa da fare è di votare un emendamento prima che si parlasse del bilancio del 2020. Arriva il commissario di Stato che blocca la spesa. Praticamente siamo al di sotto degli stipendi da assicurare ai lavoratori”.

La politica regionale come si comporta?

“Il presidente dell’Ars Gianfranco Miccichè è completamente lontano dal nostro teatro. Il nostro interlocutore è il governatore Nello Musumeci”.

Perché?

“La Sicilia è divisa in due: c’è una politica palermitana e una politica catanese. Miccichè è palermitano, Musumeci catanese. La politica palermitana è molto più forte di quella catanese”.

Musumeci come si interfaccia con voi?

“A giugno ci ha rassicurati: ‘Non vi preoccupate, non chiuderò il teatro’. Nel frattempo vengono bloccati i finanziamenti. A quel punto l’ente ha dovuto fermarsi, disdire i concerti (otto concerti sinfonici), fronteggiare le proteste degli abbonati che chiedono il risarcimento del biglietto. Insomma una situazione insostenibile. Al che parliamo di nuovo con Musumeci: ‘Presidente, il teatro è chiuso, ma si ricordi che lei aveva fatto delle promesse’. Ora, noi comprendiamo che stare sulle spalle di una Regione che ha sette miliardi di debiti non è semplice, ma chiudere il teatro per mesi (soprattutto in estate, perché non c’è attività, malgrado i bellissimi teatri di pietra che ci sono in Sicilia, da Catania a Siracusa a Taormina, dove potremmo suonare) è una mortificazione per le professionalità del Bellini, che sono altissime, poiché provengono da concorsi pubblici”.

Ci sono delle responsabilità da parte del teatro?

“Certamente, ma sono state ereditate e si sono accumulate”.

Quali sono stati gli errori principali?

“Non aver capito che la cultura di oggi è cambiata. Bisognava avere un rapporto diverso con la città, con le scuole, con un bacino diverso rispetto a trenta, quarant’anni fa”

Cosa ci vorrebbe per rilanciare il teatro?

“La forza di tutti, non solo i soldi degli enti pubblici. Ci vuole una persona di grande esperienza che governi il teatro e sappia valorizzare il personale. Attualmente non c’è un direttore amministrativo, un direttore tecnico, un direttore allestimenti scenici. Costano molto. Stiamo facendo tutto noi”.

Alcuni dipendenti del teatro in stato di agitazione

Si sentirebbe di lanciare qualche idea alla politica?

“Al sindaco di Catania dico di fare in modo di dirottare al Bellini i tanti passeggeri che ogni giorno sbarcano al porto di Catania dalle navi da crociera. Attualmente si fa poca cosa. Se viene potenziato il servizio navette si può fare tanto. E poi, come detto, fare i concerti nei teatri di pietra. Siamo a cinque minuti dal teatro greco di Catania, e a mezz’ora dal teatro greco di Taormina e di Siracusa. Da giugno a ottobre sarebbe un successo incredibile. E sono soldi che potrebbero entrare”.

Quindi è ottimista?

“Ho il dovere di esserlo. A giorni dovrebbe essere nominato il Sovrintendente. Fra i nomi che circolano c’è soprattutto quello di Giovanni Cultrera, direttore artistico del teatro di Modica. Musumeci ha assicurato che organizzerà assieme al suo staff uno studio per ristrutturare il Bellini coi fondi strutturali, che sono liberi da vincoli. Penso che qualche milione di Euro sarà destinato a questo. Ecco perché, malgrado tutto, vedo positivo”.

Luciano Mirone