Due anni. Ma è come se ne fossero passati cinquanta dal terribile attentato a Malta della giornalista Daphne Caruana Galizia, uccisa con una macchina imbottita di tritolo dopo anni di inchieste sugli inconfessabili affari portati avanti dagli esponenti dell’attuale governo con la criminalità organizzata e i capi di Stato di tutto il mondo.

Quello che è successo da quel drammatico pomeriggio del 16 ottobre 2017 in questa piccola isola al centro del Mediterraneo (lo Stato più minuscolo dell’Unione Europea) ricorda quel che è successo agli otto giornalisti uccisi in Sicilia, che da Malta è separata da soli ottanta chilometri di mare. Otto giornalisti , che, come Daphne, sono stati uccisi perché non piegavano la schiena nel raccontare le micidiali collusioni fra mafia e politica (in certi casi con l’aggiunta della massoneria e dei servizi segreti deviati).

L’auto carbonizzata della giornalista Daphne Caruana Galizia. Sopra: la giornalista maltese

Cambia la dirompenza del delitto, e la sfacciataggine (per non dire la grossolanità) del “sistema” nel cercare di coprire quel che è sotto gli occhi di tutti, ma per il resto le analogie sono talmente impressionanti da pensare che i maltesi stiano copiando (male, molto male) quello in cui i siciliani sono maestri per via di una mafia secolare, mentre loro, i maltesi, hanno iniziato ieri e quindi hanno ancora tanto da imparare dai dirimpettai.

A Malta per uccidere una giornalista si ricorre al tritolo. In Sicilia il tritolo si usa solitamente per magistrati particolarmente “pericolosi” (per i mafiosi) e super scortati come Falcone, Borsellino e Chinnici. Un cronista che cammina in mezzo alla strada e per giunta senza tutele lo ammazzi con la pistola (Fava, Alfano, Francese, Spampinato), con la lupara (Rostagno), al limite simuli un suicidio (Cristina), o tutt’al più usi sì l’esplosivo, ma per far passare la vittima come un terrorista fallito (Impastato).

Un po’ complicato da spiegare a chi non è siciliano, ma in Sicilia il delitto di un giornalista si esegue in modo raffinato. Mica come i maltesi che per far fuori Daphne “firmano” l’omicidio addirittura con l’autobomba sotto gli occhi di un’Europa che osserva per un attimo, fa finta di piangere e poi si gira dall’altro lato.

In Sicilia per delegittimare un cronista ucciso si ricorre alle più bieche calunnie. E c’è da comprenderlo: dopo un delitto così eclatante, quelle inchieste possono diventare dirompenti per il potere che lo ha voluto. Basta leggerle per capire. Ma dietro a quelle calunnie c’è uno studio scientifico delle abitudini e delle debolezze della vittima. L’esigenza di Cosa nostra non è quella di costruire il “vero” ma il “verosimile”, una miscela di verità e di menzogna diffusa attraverso la stampa compiacente che da un lato eleva inni nei confronti della vittima, e dall’altro fa passare fra le righe certi messaggi per placare un’opinione pubblica che intanto reclama verità e giustizia.

A Malta no. A Malta sono di una rozzezza disarmante. Figuratevi che per delegittimare la povera Daphne ora la dipingono col naso di Pinocchio, ora scrivono che è una strega, ora addirittura festeggiano la sua morte capeggiati addirittura da qualche sindaco dell’isola, ora scrivono su fb (lo ha fatto un poliziotto che indaga sul delitto) che la giornalista si è meritata quella fine. Roba che non si vedeva dai tempi del fascismo, quando lo Stato di diritto era un’entità astratta e l’impunità era la regola.

Proprio l’impunità è l’elemento che accomuna in modo impressionante Malta alla Sicilia, a prescindere dalla goffaggine di certi atteggiamenti. L’impunità che è figlia della sicurezza di farla franca. Per l’assassinio di Daphne Caruana Galizia hanno accusato tre persone di essere gli esecutori.

Come ricostruito dall’ottimo servizio di Sandro Ruotolo su Fanpage, uno di questi (forse a nome di tutti) cita come testimoni a propria discolpa tutti i vertici del governo maltese (nessuno escluso), come se volesse lanciare un monito, un messaggio. Perché la giovane e violenta mafia di Malta non ci sta a marcire in carcere con il pretesto dell’omertà, concetto ormai sedimentato nelle teste dei dirimpettai siciliani – a cominciare da Riina, Provenzano, Liggio, ecc. – morti in galera, senza aver mai fatto il nome di un solo politico. A Malta non si scherza. L’Europa – quella della politica, che porta i soldi nei paradisi fiscali, quella che ricicla, quella che fa carte false con le slot machine – lo ha capito. E continua a girarsi dall’altro lato.

Luciano Mirone