Se n’è andato a ottantanove anni Francesco Saverio Borrelli, l’ex capo della Procura di Milano che, assieme a magistrati come Di Pietro, D’Avigo e Colombo scoperchiò il verminaio di Tangentopoli. Se n’è andato con discrezione, come era solito fare, dopo lunga e sofferta malattia. 

Lo ricorderemo sempre questo galantuomo d’altri tempi che – anche grazie al lavoro prezioso dei suoi sostituti – ebbe il coraggio di mettere sotto accusa una classe politica che per decenni aveva spadroneggiato e messo sotto scacco l’intero Paese impedendogli di progredire in campo economico, sociale e politico.

Francesco Saverio Borrelli va annoverato fra i più grandi magistrati dell’Italia repubblicana per la sua correttezza, la sua serietà, la sua prudenza, la sua ironia, la sua cultura. Lo hanno sempre accusato di essere stato implacabile con la Dc e il Psi e di aver risparmiato “i comunisti”. Evitiamo di avventurarci in queste dietrologie che oggi, a distanza di quasi trent’anni, non avrebbero senso (anche se Anna Craxi –  figlia di quel Bettino Craxi, ex segretario del Psi che per sfuggire alle indagini del pool Mani Pulite, si rifugiò ad Hammamet in Tunisia –  oggi ha dichiarato: “Con Borrelli finisce la stagione più infausta dell’Italia repubblicana”), ma va detto che le responsabilità di due partiti che per decenni sono stati al potere non possono essere comparabili con quelle di un partito che contemporaneamente è stato all’opposizione.

Quando Berlusconi – dopo il crollo della Prima Repubblica – prese il potere, per Francesco Saverio Borrelli gli attacchi aumentarono, soprattutto dalle TV del Cav, auspice Vittorio Sgarbi che ogni giorno all’ora di pranzo lanciava i suoi anatemi contro l’allora capo della Procura di Milano e contro il collega della Procura di Palermo, Giancarlo Caselli, all’epoca impegnato in delicate indagini sui rapporti fra mafia e politica, specialmente sul tante volte presidente del Consiglio Giulio Andreotti, ritenuto colluso Con Cosa nostra – con sentenza passata in giudicato – fino al 1980, e accusato di essere stato informato dagli stessi boss dei piani di uccidere l’ex presidente della Regione siciliana Piersanti Mattarella, senza sentire il dovere di rivolgersi ai magistrati per denunciare il progetto di morte.

Sgarbi attaccava con violenza inaudita Borrelli e Caselli, come se l’asse Milano-Palermo fosse un forte da difendere a ogni costo per le verità inconfessabili che emergevano copiosamente e che solo l’indagine di Antonio Ingroia su Marcello Dell’Utri ha messo in evidenza, con una condanna a sette anni del fondatore di Forza Italia e braccio destro di Berlusconi.

Addio procuratore Borrelli e grazie. Di Lei ricorderemo sempre quelle tre parole pronunciate con determinazione e ironia in un momento triste della storia di questo Paese: “Resistere resistere resistere”. Una lezione di vita per chi crede ancora in certi valori .

Nella foto: l’ex procuratore capo di Milano, Francesco Saverio Borrelli

Luciano Mirone