Una delle prime a denunciare lo scandalo dei bambini strappati ai genitori per essere ricoverati nelle Case famiglia o nelle Comunità fu Alfia Milazzo, due anni fa a questo giornale, quando ancora pochissimi ne parlavano. Per cosa? Un paio di cifre possono farci capire cosa può nascondersi dietro alle decisioni di alcuni Tribunali dei minori, che spesso si fidano ciecamente delle relazioni di assistenti sociali, psicoterapeuti e consulenti tecnici d’ufficio (i cosiddetti Ctu), i quali su questa materia hanno un potere discrezionale incredibile.

In Italia lo Stato versa a queste strutture private da 40 a 400 Euro al giorno a bambino, a seconda della regione di appartenenza. A Catania ne versa 80. In un mese sono 2mila 400 Euro, in un anno 28mila 800. Ripetiamo: per un solo bambino e solo a Catania.

Chi è Alfia Milazzo? È la presidente della Fondazione La Città Invisibile, al cui interno opera l’Orchestra Falcone Borsellino, di cui fanno parte ragazzini dai sei ai diciotto anni dei quartieri popolari di Catania, soprattutto San Cristoforo e Librino (i catanesi sanno di cosa stiamo parlando), ma Alfia Milazzo è una educatrice che va nelle periferie, parla coi genitori, coi bambini, e quando capisce che c’è da prendere una posizione lo fa.

Due anni fa prese una posizione durissima in difesa di un ragazzino, Michele, che stava per essere chiuso in una casa famiglia, senza che vi fossero i presupposti di urgenza previsti dalla legge. Almeno secondo l’avvocato Rosalba Vitale, intervistata da noi.

Stessa posizione, Alfia, assunse nei confronti di una mamma di Librino – premiata dalla Città Invisibile come madre esemplare – alla quale stavano togliendo i figli, perché ritenuta inidonea ad assolvere al compito di genitrice.

Anche in quel caso l’avvocato Vitale espose le sue forti critiche sul provvedimento. E alla domanda, “casi come questi ne esistono tanti?”, sia Alfia che il legale risposero “tantissimi, più di quanto si possa immaginare: la storia di Michele e della madre di Librino sono la punta di un gigantesco iceberg nascosto da un mare di soldi, di bugie e di dolore.

Un mare che nasconde una delle più gravi emergenze nazionali (i recenti fatti di Reggio Emilia ne sono una testimonianza) che non si vede, eppure esiste. Un fenomeno del genere, al Sud, si verifica dove c’è povertà, ignoranza e inconsapevolezza. “Questa gente ha la ‘colpa’ di essere povera”, disse Alfia Milazzo nel corso di quella intervista. Ed è una frase che è uno schiaffo per tutti: per la società che considera una grave “colpa” la povertà, e per certi operatori sociali che usano i poveri per scrivere fare delle relazioni false.

Ci sono posti del Sud come Catania, come Napoli, come Palermo dove molti papà sono in carcere per i reati più disparati. A occuparsi dei bambini sono le mamme in condizioni di estrema difficoltà. Molte di queste svolgono il proprio ruolo con dignità, dando un’esistenza e un’educazione decente ai propri figli.

È nelle pieghe di questa condizione che si inserisce l’ambiguità di certe relazioni. Scrivere – come è successo nel caso di Michele, de relato, cioè riferito da altri – che il bambino, seppur vivace, è da ricoverare in una Casa famiglia perché crea turbamento per le ragazzine e disturba i compagni nelle ore scolastiche, quindi ha un “lieve deficit cognitivo”, è facile. Altrettanto facile è aggiungere che il bambino vive in condizioni di indigenza. Una situazione smentita dall’avvocato che, attraverso un sopralluogo, ha dichiarato esattamente l’opposto.

Nel caso di Michele è stato possibile affrontare la situazione, in quanto la vicenda è stata conosciuta dai responsabili dell’Orchestra Falcone Borsellino – di cui il ragazzino fa parte – e denunciata grazie anche al supporto di un legale. Ma immaginiamo quanti Michele esistono nella nostra società, con genitori che non conoscono le leggi e che l’avvocato non se lo possono permettere. Tanti, troppi per quest’Italia “colpita al cuore” che preferisce distrarsi con altro.

Luciano Mirone