Una trasmissione, quella dedicata alla Trattativa, andata in onda ieri sera su Rai2, in un momento di massimo ascolto, che ci riconcilia in parte con la tivù di Stato e, per una volta, non ci fa rimpiangere la televisione di Pasolini, di Zavattini, di Mario Soldati, di Biagi, di Zavoli e di tanti altri grandi giornalisti di un illustre passato nel quale il compito di informazione-formazione non era un concetto astratto, ma una missione alla quale in  Rai si credeva fermamente.

Non che di professionisti validi ne manchino oggi al servizio pubblico: il problema è che mancato l’editore, cioè la politica che ci ha governato. Il fatto che un film come La Trattativa di Sabina Guzzanti – vera vincitrice di ieri sera – sia andato in onda cinque anni dopo la sua uscita nelle sale cinematografiche, per giunta in seguito alla raccolta di migliaia di firme di gente comune, la dice lunga sul livello di libertà di informazione che esiste nel nostro Paese, men che meno alla Rai.

Il cadavere di Attilio Manca. Sopra: Sabina Guzzanti

Si dirà che questo film sia andato in onda nella stagione del governo targato Lega-M5S. Vero, bisogna darne atto, e bisogna che la sinistra prenda atto dell’ennesima occasione persa (specie su questo tema su cui ha dato prova di fallire tante volte), ma la vera libertà di informazione è un’altra. La vera libertà di informazione presuppone programmi frequenti (e non isolati) sugli scandali nei quali sono coinvolti i partiti e gli uomini di governo – questo governo – o i casi irrisolti come quello dell’urologo di Barcellona Pozzo di Gotto, Attilio Manca, trovato morto in circostanze misteriose a Viterbo nel 2004, un caso che con la Trattativa è collegato, ma che la Rai targata Pd-Fi ieri e gialloverde oggi ha censurato e censura.

Detto questo, bisogna dare a Cesare quel che è di Cesare e a questo governo quel che è di questo governo per aver dato la possibilità al grande pubblico di comprendere – attraverso la genialità di Sabina Guzzanti – le dinamiche che hanno portato alle stragi del 1992-1993 (comprese quelle di Capaci e di via D’Amelio) e allo Stato di “appattarsi” con l’antistato fino a diventare una cosa sola.

Il Colonnello dei carabinieri Michele Riccio (oggi Generale)

Grazie al film della Guzzanti abbiamo capito l’origine degli enormi capitali di Berlusconi, i retroscena della formazione di un partito come Forza Italia; le complicità di alcuni settori dell’Arma in merito alla mancata perquisizione del covo di Riina, all’avvicinamento di Vito Ciancimino nell’imbastire la trattativa con Totò Riina per far cessare le stragi, all’uccisione di un pentito-chiave come Luigi Ilardo che al colonnello Michele Riccio (esponente della parte migliore dei carabinieri) stava vuotando il sacco su Berlusconi, su Dell’Utri, su come catturare Bernardo Provenzano, protetto dallo Stato per ben quarant’anni.

Grazie al film della Guzzanti abbiamo capito le responsabilità di un magistrato come Tinebra, ex procuratore della Repubblica di Caltanissetta, indicato da più parti come “massone”, e titolare delle indagini sulle stragi di Capaci e  di via D’Amelio; il ruolo della Polizia di Stato, a cominciare dal massimo vertice dell’epoca, Parisi, che si adoperò affinché Tinebra collaborasse con i servizi segreti di Bruno Contrada, andando contro la legge che vieta categoricamente questo genere di sinergie: il doppio gioco dell’ex capo della Squadra mobile di Palermo, Arnaldo La Barbera, accusato – assieme a tre poliziotti attualmente sotto processo nel capoluogo nisseno – di avere depistato le indagini costruendo il falso pentito Scarantino, sulla cui vicenda la Procura di Messina, adesso, vuol vederci chiaro attraverso le nuove indagini nei confronti di altri due magistrati che all’epoca facevano parte del pool di Tinebra: Carmelo Petralia, attualmente procuratore aggiunto a Catania, e Anna Maria Palma, oggi avvocato generale a Palermo.

L’ex procuratore di Caltanissetta, Giovanni Tinebra

Grazie al film della Guzzanti abbiamo capito quali trame si muovono nel sottosuolo di questo Paese fra pezzi dello Stato, della massoneria, della mafia e dei servizi segreti, quelli che comandano realmente, a dispetto di chi ci racconta che esiste una massoneria buona e una cattiva. Insomma, abbiamo capito perché questo film “non doveva” essere trasmesso prima.

Un plauso dunque alla Rai e al contributo dato da giornalisti come Marco Travaglio del Fatto quotidiano e Giovanni Bianconi del Corriere della Sera. Sugli interventi di cronisti come Giuseppe Sottile e di politici come Maurizio Gasparri preferiamo stendere un velo pietoso.

Luciano Mirone