È l’ultimo costruttore di carretti siciliani, erede del “mitico” Domenico Morabito, a Belpasso (Catania) meglio conosciuto come Miciu ‘u carritteri, che per oltre un trentennio gli fu maestro. Alfio Pulvirenti, 56 anni, è il depositario di un’arte che in Sicilia ebbe secoli di splendore quando i carretti erano il veicolo di locomozione più in voga.

Alfio Pulvirenti mentre lavora il carretto

Poi arrivarono gli anni Sessanta e venne l’automobile: quel mezzo variopinto che raffigurava alcune scene della nostra letteratura, con le ruote di legno ricoperte da cerchi di ferro, cominciò a scomparire, dapprima si mischiò con le macchine, poi diventò oggetto da collezionismo.

Da allora iniziò il tramonto di un artigianato che vedeva il carretto come un macrocosmo al centro dell’universo. Un oggetto fantasmagorico per la cui costruzione un tempo era necessaria una maestranza di prim’ordine: c’era il carradore (colui che elaborava il progetto e coordinava l’opera) e lo scultore, il pittore, il fabbro, e il “torniere” (l’artigiano che costruiva i torni di legno): ognuno con un compito ben preciso che rispettava rigorosamente.

Un ciclo di lavorazione complesso e creativo che iniziava con le idee del carradore e finiva con gli affreschi del pittore. Che raffiguravano i paladini di Francia, il combattimento di Orlando e Rinaldo, la Cavalleria rusticana, il martirio di Sant’Agata e tanto altro. C’era il carretto “padronale” (quello più semplice, usato dal contadino per il lavoro nei campi) e il carretto decorato (che veniva utilizzato per i giorni di festa).

Sembra di vederli per la festa Sant’Alfio, a Trecastagni, dove fino a qualche decennio fa arrivavano carrettieri da tutta la Sicilia, preceduti da cavalli bardati con pennacchi multicolori per fare la Cchianata de’ sapunari. O nelle strade polverose dell’Isola per trasportare il fieno, condotti dai contadini con la coppola nera che tornavano a casa dopo una giornata di duro lavoro.

Il legno usato era soprattutto ‘u frascinu di Palermo, una specie di arbusto selvatico oggi in disuso: pare che nel corso degli anni abbia subito un deterioramento a causa dei cambiamenti climatici. Si è molto indebolito. Attualmente si utilizza il faggio e la noce.

Alfio mentre è concentrato a “ricamare” la ruota

Eppure in Sicilia c’è chi non dimentica l’epoca gloriosa dei carretti e continua con passione a fare un mestiere che appartiene alla notte dei tempi e che dalla notte dei tempi viene trasmesso fino a noi. Alfio Pulvirenti lo trovi nella bottega di via Vitaliano Brancati, a Belpasso, dove lavora anche dodici ore al giorno, attorniato da figli e nipoti che hanno voglia di imparare, mentre lui, martello e scalpello in mano, “ricama” con maestria una ruota, un asse, una sponda.

Cominciò a sette anni nella bottega di Micio Morabito: “Fu mia madre – dice – a prendermi per un’orecchia e a portarmi da lui affinché imparassi un mestiere. Allora si cominciava a lavorare a quell’età, e io andai. Di mattina mi recavo a scuola, di pomeriggio andavo dal mastro, fino alla terza media. Poi, da quando compii tredici anni, cominciai a lavorare a tempo pieno: fu a quell’età che costruii il primo carretto della mia vita. Da allora non mi sono più fermato. Imparai a fare tutto grazie anche ad un altro bravo artigiano, Francesco Giuffrida, che lavorava per il mio mastro: scolpire, lavorare il ferro, costruire l’intera opera nelle sue parti più complicate”.

Il momento solenne in cui il ferro incandescente si incontra col legno

Parti che Alfio elenca a una a una: ‘u masciddaru (la sponda), ‘i baruni (i laterali), ‘u cintuni (il ferro per legare le corde); e poi ‘a cascia ‘i fusu, ‘a suttana, ‘u suspiru da suttana, l’occhiu di l’asta, ‘u croccu di coffa. Termini arcaici, ma una volta molto usati non solo da chi faceva questo mestiere.

“Ho imparato a fare tutto, tranne che a dipingere, preferisco delegare ad altri: il migliore della provincia resta il grande Di Mauro di Aci Sant’Antonio, che fino a 103 anni faceva delle opere bellissime: è morto col pennello in mano. Fra le giovani generazioni c’è il pittore ragusano Biagio Castelletti, e il paternese Alessandro Forte”.

In un anno Alfio è capace di costruire (da solo) una dozzina di carretti “padronali” e qualche carretto decorato con sculture e bassorilievi. Signor Pulvirenti perché continua a fare questo mestiere? “So fare solo questo. Il lavoro, grazie a Dio, non manca. Il fatto di essere rimasto l’ultimo a portare avanti un’attività del genere è positivo, perché non c’è concorrenza. Questo mi consente di essere ricercato e di fare delle buone opere. La più bella? La realizzai per un collezionista messinese: Paolo Tracuzzi”.

Adesso Alfio batte il martello sul ferro incandescente per plasmarne le forme. Dopo averlo addomesticato, lo immerge nell’acqua per farlo raffreddare. L’ultimo pensiero di questa chiacchierata lo vuole dedicare al suo maestro: “Il cavaliere Morabito non fu soltanto la persona che mi insegnò questo mestiere, ma un maestro di vita, un secondo padre. Dopo la pensione veniva ogni giorno nella mia bottega, non solo per darmi una mano, ma proprio per lavorare. Morì nel 2007, con 92 primavere sulle spalle. Fino a una settimana prima era stato qui a costruire carretti”.

Luciano Mirone