La menzogna del presunto ambidestrismo di Attilio Manca, lanciata per la prima volta da personaggi barcellonesi coinvolti nelle indagini sulla morte del medico e per ciò solo portatori di interesse al depistaggio, è stata incresciosamente raccolta perfino dal GIP Salvatore Fanti, il quale, smentendo le risultanze ufficiali, asseverò nel provvedimento di archiviazione che Attilio Manca dovesse essere ambidestro perché esperto nella pratica chirurgica della laparascopia.
Anche in riferimento all’ipotetica assunzione di eroina da parte del Manca, tutti i colleghi viterbesi smentivano la possibilità che l’urologo potesse essere un consumatore di droghe, dato che nessun foro era mai stato visibile sulle braccia dell’uomo da parte dei colleghi che operavano quotidianamente in sala operatoria con lui, né aveva mai manifestato alcun segnale di crisi di astinenza.
Diversamente gli amici di infanzia barcellonesi della vittima hanno fornito dichiarazioni incresciose circa l’utilizzo abituale di eroina da parte del Manca.
Addirittura uno di loro, Lelio Coppolino, in atto imputato di falsa testimonianza a Messina in relazione all’omicidio del giornalista barcellonese Beppe Alfano, ha reso alla polizia due versioni completamente antitetiche una rispetto all’altra: una prima volta, disse che Attilio fosse del tutto estraneo alla droga e anzi ne avesse disprezzo; una seconda volta, allorché il cugino di Attilio, Ugo Manca, finì indagato, disse che Attilio era frequente assuntore di eroina.
Lo stesso Ugo Manca, sentito come testimone nel processo a carico di Monica Mileti, ha dichiarato che Attilio Manca fosse un consueto assuntore di eroina e di recente, intervistato da una nota trasmissione televisiva, «Le Iene», lo ha etichettato, senza appello, come «il drogato». Eppure Ugo Manca, mesi addietro, aveva scelto di intraprendere un viaggio di mille chilometri, dalla Sicilia a Viterbo, per farsi operare ad un testicolo dal cugino, pur sapendolo, da quanto da lui dichiarato, eroinomane. Si può dare credito, quindi, alle sue parole ?
Non si comprendono pertanto i motivi per i quali sia stato dato più peso alle dichiarazioni degli amici di infanzia della vittima (tutti riconducibili al contesto barcellonese – di cui si dirà dopo), rispetto a quelle di chi frequentava il Manca quotidianamente negli anni precedenti la sua morte.

5. Lo stato dei luoghi al ritrovamento del cadavere

Al momento del ritrovamento del cadavere, vennero ritrovate a casa del medico due siringhe, una nel cestino dei rifiuti in cucina e una sul pavimento del bagno. Entrambe le siringhe erano state chiuse con il tappo salva-ago e una delle due presentava perfino il tappo salva-stantuffo.
Eppure, nell’appartamento di Attilio Manca non sono state trovate tracce del materiale necessario alla liquefazione dell’eroina da aspirare nelle due siringhe utilizzate. Poiché, secondo la teoria della procura di Viterbo, Attilio Manca sarebbe svenuto e poi morto subito dopo l’assunzione dell’eroina, si dovrebbe ritenere, per convalidare i teoremi degli inquirenti, che Manca avesse acquistato la droga già pronta all’uso nelle siringhe: un inedito nella pur alluvionale letteratura giudiziaria in materia di droga. L’alternativa consisterebbe nella presenza di qualcuno insieme a Manca al momento dell’assunzione dell’eroina, che poi avrebbe fatto sparire le tracce degli strumenti utilizzati alla liquefazione della droga. Essendo accertato che Monica Mileti, del processo a carico della quale poi si dirà, non mise mai piede a Viterbo nel febbraio 2004 prima della morte di Attilio Manca, si dovrebbe ipotizzare che un soggetto rimasto fino a oggi sconosciuto sia stato in compagnia di Attilio Manca nel momento in cui egli predispose e si inoculò l’eroina mortale. A ben vedere, l’unica risposta logica all’anomalia ora rilevata è fornita proprio dalle dichiarazioni della vicina di casa di Manca, che per l’appunto percepì nella tarda sera dell’11 febbraio (proprio in concomitanza con l’ora della morte del medico) la chiusura della porta di casa di Attilio Manca, evidentemente da parte di qualcuno che vi si allontanava.
Ancora, sulla superficie delle due siringhe non fu rilevata alcuna impronta digitale. Come dare spiegazione ragionevole a tale dettaglio ? Si può pensare che Attilio Manca avesse adoperato dei guanti per evitare di lasciare impronte digitali ? Per quale motivo ? E, soprattutto, quei guanti che fine avrebbero fatto, visto che nell’appartamento non vennero trovati ?

6. L’impronta di Ugo Manca

Fra le anomalie alle quali gli inquirenti non hanno saputo dare risposta c’è anche l’impronta digitale di Ugo Manca trovata a casa di Attilio a Viterbo, su una piastrella del bagno vicino alla doccia, cioè nella stanza più umida della casa, quindi sul materiale e nelle condizioni più improbabili per la sua permanenza. L’interessato ha riferito, anche agli organi di informazione, di averla lasciata a metà dicembre 2003, ben due mesi prima della morte del cugino, allorché fu ospitato una notte dallo stesso in previsione di un intervento chirurgico che gli venne praticato proprio da Attilio Manca all’ospedale Belcolle. Eppure nello stesso appartamento non sono state trovate impronte dei genitori di Attilio Manca, ospiti del figlio a Natale 2003, e nemmeno dei suoi amici che trascorsero la serata a casa di Manca addirittura il 6 febbraio 2004.

7. Il processo a carico di Monica Mileti

La procura di Viterbo, dopo aver fatto trascorrere ben dieci anni, ha promosso un processo a carico di Monica Mileti, imputandole la cessione delle dosi di eroina che avrebbero causato la morte di Attilio Manca (articolo 73 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990) e anche la morte come conseguenza di altro delitto (articolo 586 codice penale). Ma proprio a causa del tempo fatto decorrere dalla procura di Viterbo, in udienza preliminare il GUP di Viterbo dovette dichiarare la prescrizione per la seconda delle imputazioni. Per la cessione di droga si è, invece, svolto un dibattimento che ha avuto un andamento davvero imbarazzante. Si è iniziato con l’esclusione dei familiari di Attilio Manca, che si erano costituiti parte civile, su richiesta del PM Petroselli, il quale ha sostenuto, confortato dalla decisione del giudice, che essi non avevano subito danni dalla cessione di droga della Mileti al figlio (contrastando quanto lo stesso pubblico ministero aveva contestato alla Mileti in udienza preliminare con la morte di Attilio Manca come conseguenza della cessione di droga). Si è proseguito con la mancata citazione, da parte della difesa dell’imputata, dei numerosi testimoni a discarico di cui poteva disporre: i colleghi di Attilio Manca che escludevano che l’urologo barcellonese assumesse droga; i collaboratori di giustizia che avevano dichiarato all’autorità giudiziaria che la morte per droga di Attilio Manca fossePag. 15la dissimulazione di un omicidio. La difesa dell’imputata ha perfino omesso di rivolgere alcuna domanda alla mamma di Attilio Manca, allorché costei fu citata dal tribunale a deporre, con una testimonianza durata pochi minuti, dopo che l’anziana donna era stata costretta a sobbarcarsi un viaggio di mille chilometri.
In sostanza, dunque, il processo che formalmente si è celebrato a carico di Monica Mileti, di fatto ha avuto come imputato Attilio Manca. Con una peculiarità patologica: mentre la Mileti ha, come detto, scelto di non difendersi, Attilio Manca era impossibilitato a difendersi, tanto più dopo che dal processo erano stati cacciati i suoi familiari, che si erano costituiti parte civile

Rosario Pio Cattafi

8. Il contesto di Barcellona Pozzo di Gotto

Il punto sul quale la giustizia viterbese ha omesso ogni accertamento riguarda, forse non a caso, la mafia barcellonese. Attilio Manca una decina di giorni prima di morire, in modo del tutto inusuale, aveva chiesto informazioni ai propri genitori circa un personaggio barcellonese a nome Angelo Porcino. Era stato – aveva aggiunto – il cugino Ugo Manca a preannunciargli una visita di Porcino a Viterbo per un non meglio precisato consulto. La stranezza della richiesta consisteva nel fatto che quell’Angelo Porcino, più che ai genitori di Attilio Manca, persone del tutto ignare delle dinamiche sotterranee della società barcellonese, era noto alle cronache giudiziarie come mafioso, con legami coi soggetti di vertice della famiglia barcellonese di cosa nostra, quali Giuseppe Gullotti, condannato definitivamente per l’omicidio del giornalista Beppe Alfano, e Rosario Pio Cattafi. Riscontro oggettivo a quell’evenienza, peraltro, risulta dai dati di traffico telefonico, giacché proprio dieci giorni prima di morire effettivamente Attilio Manca aveva ricevuto delle telefonate dal cugino Ugo. Dagli stessi dati, peraltro, risulta che i due, Ugo Manca e Angelo Porcino, avevano una rete di contatti comuni con utenze site in Svizzera e in Francia e risulta anche, come era stato riferito fin dall’immediatezza agli inquirenti da Gianluca Manca, fratello della vittima, che nella mattina successiva al ritrovamento del cadavere di Attilio Manca, Ugo Manca, precipitatosi a Viterbo, si era mantenuto in costante contatto telefonico con Angelo Porcino, aggiornando quest’ultimo sulle informazioni che riusciva a raccogliere al riguardo della morte di Attilio Manca. C’è da ritenere, dunque, che anche il tentativo di Ugo Manca (al quale la procura di Viterbo ha omesso di dare una ragionevole spiegazione) di introdursi nell’appartamento di Attilio Manca sottoposto a sequestro, veniva concordato col mafioso Angelo Porcino.
Ma nulla di tutto questo è interessato alla giustizia viterbese. Lì il vero imputato è stato, come nei delitti di mafia nella Sicilia di decenni orsono, Attilio Manca, impossibilitato a difendersi. D’altronde, forse non è un caso che le sollecitazioni dei familiari di Attilio Manca sono state spesso pavlovianamente qualificate come tesi della «difesa». Difesa di chi, se non della memoria di Attilio Manca ?
La procura di Viterbo iscrisse nel registro degli indagati, per l’omicidio di Attilio Manca, alcuni dei suddetti soggetti barcellonesi amici d’infanzia di Attilio Manca: Ugo Manca, Lorenzo Mondello, Andrea Pirri, Angelo Porcino e Salvatore Fugazzotto. Per i cinque barcellonesi era poi sopraggiunta l’archiviazione. Va rilevato, però, come, nel chiedere la suddetta archiviazione, i pubblici ministeri di Viterbo abbiano utilizzato «le dichiarazioni, raccolte aliunde, di soggetti barcellonesi. Non solo. Fra i soggetti le cui dichiarazioni sono state utilizzate per la richiesta di archiviazione c’è perfino Salvatore Fugazzotto, persona sottoposta a indagini nel presente procedimento le cui dichiarazioni, rese quale persona informata sui fatti, sono state ritenute utili per l’archiviazione. Un caso unico di indagato che fa pure da testimone a propria discolpa». (vedi richiesta di opposizione presentata dal legale della famiglia Manca, Fabio Repici, il 17 giugno 2012)
Quanto alla figura di Rosario Pio Cattafi, nato a Barcellona Pozzo di Gotto il 6 gennaio 1952, è utile evidenziare alcuni dettagli del suo passato.
Rosario Cattafi, oltre ad essere imputato nel processo “Gotha 3” per il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso (il giudizio è ancora in fase di definizione, essendo in corso il processo di appello, dopo il rinvio della Cassazione, avvenuto il 1 marzo 2017) e condannato con sentenza passata in giudicato per il reato di calunnia, è pregiudicato per i reati di lesioni (è stato riconosciuto colpevole di aver aggredito brutalmente a Messina nel dicembre 1971 cinque studenti universitari in concorso con Pietro Rampulla che sarà l’artificiere della strage di Capaci), porto e detenzione abusivi di arma (fu condannato per aver detenuto un mitra Sten dal quale venne esplosa una sventagliata all’interno della Casa dello studente di Messina nella notte tra il 27 ed il 28 aprile 1973) e di cessione di sostanze stupefacenti. Cattafi fu, inoltre, testimone di nozze del boss barcellonese Giuseppe Gullotti, il quale, oltre ad essere stato condannato a trent’anni di reclusione come mandante dell’omicidio del giornalista Beppe Alfano, è stato colui che ha fornito, secondo il pentito Giovanni Brusca, il telecomando della bomba che fece saltare in aria l’autostrada a Capaci il 23 maggio 1992.
Nell’esposto presentato dai legali della famiglia Manca alla DDA di Roma l’8 aprile 2015 «si segnalavano i contatti intercorsi nelle ultime settimane di vita fra Attilio Manca e Ugo Manca e anche la visita a Viterbo, preannunciata da Ugo Manca, che avrebbe fatto ad Attilio Manca per non meglio precisate ragioni il pregiudicato Angelo Porcino, condannato il 19 dicembre 2014 dalla corte di assise di Messina anche per associazione mafiosa (sentenza confermata in appello il 2 luglio 2016), quale componente della famiglia di cosa nostra di Barcellona Pozzo di Gotto. Angelo Porcino è solo uno dei soggetti organici alla famiglia mafiosa barcellonese cui da sempre Ugo Manca è stato legato. Nel corso del tempo gli scriventi hanno segnalato all’autorità giudiziaria anche i legami fra Ugo Manca e uno dei capi della famiglia mafiosa barcellonese, Rosario Pio Cattafi e hanno anche prodotto la relazione di servizio della Compagnia CC. di Barcellona Pozzo di Gotto del 7 maggio 2002, attestante la partecipazione di Ugo Manca (insieme ai suoi amici Angelo Porcino e Lorenzo Mondello) a un summit di mafia tenutosi nei locali diPag. 17un’azienda agricola, plausibilmente per festeggiare l’allora momentanea assoluzione del mafioso Antonino Merlino nel processo per l’omicidio del giornalista Beppe Alfano».

Tratto dalla Relazione di minoranza della Commissione parlamentare antimafia sul caso di Attilio Manca

2^ puntata. Continua