Dalle sue mani sono passati migliaia di documenti antichi sulla storia della chiesa catanese e sulle origini del culto e della festa di Sant’Agata. Da tanti anni mons. Adolfo Longhitano, componente del direttivo della società di Storia Patria, ricostruisce minuziosamente le tracce, le testimonianze, i frammenti sulla Patrona di Catania, cercando di dar loro la giusta collocazione temporale.

Mons. Longhitano, come nasce la festa di Sant’Agata?

“I documenti attestano che una forma di festa potrebbe avere avuto origine nel periodo successivo alla venuta dei Normanni (circa 1126), ovvero dopo il ritorno delle reliquie in città. Ma il primo vero racconto della festa risale all’inizio del 1500 attraverso il Gran Cerimoniere Alvaro Paternò, cioè dopo ben 1250 anni dal martirio, avvenuto nel 251 dopo Cristo”.

E prima?

“I Normanni arrivarono a Catania dopo 170 anni di dominio islamico, un periodo in cui fu cancellata qualsiasi traccia delle testimonianze cristiane. Anche se ci fosse stata una festa precedente, quei 170 anni l’hanno cancellata del tutto”.

Catania. Un momento suggestivo della festa di sant’Agata. Sopra: il busto della Patrona di Catania

Dunque non esistono testimonianze precedenti?

“Assolutamente no. Gli atti relativi al martirio ci dicono però che dopo un anno dalla morte di Sant’Agata il velo, portato in processione, fermò un’eruzione che stava minacciando Catania. Questo dimostra che già da allora esisteva una forma di culto. Le notizie sulla festa risalgono tuttavia ad un’epoca notevolmente successiva”.

Cosa accadde nei 170 anni di dominazione islamica?

“Era proibito il culto della religione cristiana in pubblico. O meglio, previo pagamento di una tassa, i cristiani potevano professare il culto, ma in forma del tutto privata. Sparì la cattedrale, trasformata in moschea o addirittura distrutta. Fu successivamente Ruggero il Normanno ad edificare l’attuale edificio. Quei 170 anni furono sufficienti a far perdere la memoria di una presunta festa esterna”.

Anche se non esistono frammenti che attestino l’esistenza di una festa precedente, lei si sente di escluderlo categoricamente?

“Il termine festa riguarda anche la funzione liturgica, e questa subito dopo il martirio ci fu sicuramente. Altre testimonianze sul culto di Sant’Agata sono due preziose tavolette funerarie, una trovata a Catania (e conservata al Louvre di Parigi) riguardante Julia Florentina, una bambina di Hibla, l’attuale Paternò, trovata nel cimitero paleo-cristiano dove sorge l’odierna via Androne, e un’altra rinvenuta ad Ustica in cui si parla di una donna morta nel giorno di Sant’Agata. Da questo si evince che dopo circa sessant’anni dal martirio il culto si diffuse non solo a Catania ma a Ustica e soprattutto in oriente. Nel 371 dopo Cristo un vescovo della Licia (l’attuale Turchia) parla di un corteo di vergini fatto in onore di Sant’Agata”.

Cos’era il cimitero paleo-cristiano?

“Un luogo di culto per i martiri detto martirium. Il primo luogo di culto in onore di Sant’Agata era ubicato nel sottosuolo dell’attuale via Androne”.

Chi era Julia Florentina?

“La lapide risalente all’inizio del IV secolo (dopo circa sessant’anni dal martirio) dice che questa bambina fu battezzata in punto di morte. Durante il battesimo ci fu una visione in cui fu detto che la bambina doveva ottenere il privilegio di essere seppellita vicino alle tombe dei martiri. Nella lapide non si parla di Agata. Ma a quel tempo a Catania c’erano soltanto due martiri, Agata ed Euplo (o Euplio)”.

Un fedele mentre porta il cereo (foto ildistretto.it)

Da tutto ciò cosa si può dedurre?

“Che il culto in onore di Sant’Agata risale certamente alle epoche precedenti alla dominazione araba. La stessa cosa, dato che non possediamo testimonianze, non può dirsi della festa”.

Dopo i musulmani tuttavia la festa esplose splendidamente.

“Dopo, appunto. Probabilmente la festa non riprese un rito già interrotto, ma fu l’inizio di una cristianità che diede alla città, grazie soprattutto al ritorno delle reliquie, una nuova identità”.

Lei esclude che nel corso di quei 170 anni, malgrado i divieti e le proibizioni, la fede in Sant’Agata, seppure privatamente, sia stata trasmessa di generazione in generazione?

“E’ possibile, ma nell’archivio della cattedrale non possediamo documenti che lo attestino scientificamente”.

Perché fra i due martiri catanesi, Sant’Agata e Sant’Euplio, fu Sant’Agata ad essere proclamata Patrona?

“Euplio subì il martirio dopo Agata. A parte questo, possiamo fare delle ipotesi: forse Sant’Agata incarna meglio l’ideale cristiano-popolare perché in fondo è una fanciulla di quattordici o quindici anni, inerme, che secondo gli atti del martirio sfida il potere e resiste ai tormenti, diventando l’incarnazione di una debolezza che diventa forza”.

Un punto essenziale nella storia della festa, come detto, è il ritorno delle reliquie a Catania.

“Fu il generale bizantino Giorgio Maniace nel 1040 (durante la dominazione araba) che venne in Sicilia nel tentativo di conquistare l’isola, fece tappa a Catania, riuscì a trafugare le reliquie e a portarle a Costantinopoli. Trent’anni dopo, i normanni vollero riportarle in città. In epoca medievale possedere le reliquie di un santo era motivo di grandissimo prestigio in tutto il mondo cristiano. Come sostenne il vescovo Maurizio (il secondo vescovo normanno), due militari si recarono nottetempo a Costantinopoli, ripresero le reliquie, le nascosero nelle loro armature, sbarcarono a Taranto, arrivarono ad Acicastello, accolti dalle più alte autorità del clero catanese, che le riportarono in città. Dai documenti non si deduce che ci fu festa, semmai potrebbe esserci stata un’accoglienza festosa. Quel momento divenne il punto centrale per la ricostruzione dell’identità di Catania. Non dimentichiamo che i catanesi erano un miscuglio di razze e di lingue diverse: dopo la dominazione islamica, la minoranza cristiana era di lingua greca, quindi di rito greco bizantino; i normanni erano francesi. Assieme a loro vennero tedeschi, piemontesi, liguri, amalfitani, calabresi: erano questi i cristiani-latini che si insediarono a Catania. Insieme con i cristiani di rito greco formarono la cristianità catanese, che trovò il suo riferimento in Sant’Agata.”.

Da più parti viene sostenuto che la festa di Sant’Agata sia la prosecuzione del culto della dea Iside risalente all’epoca romana.

“Si tratta di dicerie che non hanno alcun fondamento storico. Ammesso questo, l’interruzione del periodo islamico cancellò tutto. Si ricominciò con un culto, una devozione e una prassi autenticamente cristiani, elementi che si fusero con la cultura catanese e siciliana del tempo”.

Una delle caratteristiche candeore

La prima autentica testimonianza della festa risale dunque al 1500. Di cosa parla Alvaro Paternò?

“Racconta la festa del 3 e del 4 febbraio. Descrive la processione della luminaria e i carri allegorici del 3 febbraio, grandiose costruzioni a forma di piramide che venivano ammirate da tutti i catanesi a prescindere dallo stato sociale. Il 4 febbraio si faceva il giro esterno, la santa girava attorno alle mura poiché la città, essendo medievale, per motivi di difesa non disponeva di strade larghe e di grandi piazze. Il 5 la festa veniva celebrata solo in cattedrale. Dal 1844 la santa cominciò ad uscire anche quel giorno: arrivava alla Porta di Aci e faceva ritorno in chiesa”.

Qual è l’origine del sacco?

“Una leggenda dice che il sacco sia il residuo della camicia da notte usata dai devoti quando le reliquie provenienti da Costantinopoli tornarono a Catania. Secondo la credenza popolare, quella notte, molti catanesi indossarono quell’indumento. Ma è una ricostruzione priva di ogni riscontro: storicamente le camicie da notte fecero la loro comparsa nel 1800 in Francia presso le classi aristocratiche. Il sacco comincia ad essere documentato a Catania all’inizio del 1500. Alvaro Paternò testimonia che all’epoca erano i nudi (cioè delle persone che indossavano un perizoma) a portare la santa. Poi a causa del freddo si cominciarono ad usare questi abiti bianchi. Alvaro Paternò critica questa usanza definendola una ‘tentazione del demonio’. Nonostante questo, i nudi scomparvero e si affermò il sacco bianco, che secondo la cultura cristiana sono il simbolo della purezza”.

Lei ritiene che sulla storia di Sant’Agata esistano testimonianze non ancora scoperte?

“Certamente. Se ne potrebbero trovare tante, però bisognerebbe cercarle. Oggi è difficile: a Catania la parte antica è stata coperta dalle varie epoche, mentre dagli anni ’60 in poi una urbanizzazione selvaggia ha relegato nell’oblio tante testimonianze preziose e straordinarie”.

Luciano Mirone