“Sei una testa di c…, un idiota, un imbecille”. Pur di difendere Silvio Berlusconi dalle accuse del disegnatore Vauro Senesi, Vittorio Sgarbi dallo studio della trasmissione di La7, “L’aria che tira”, aggredisce verbalmente il vignettista, colpevole di essersi permesso di dire quello che da tanti anni scrivono i magistrati, e cioè che la nascita del patrimonio dell’ex presidente del Consiglio è sospetta: “Sull’origine della sua fortuna economica – dice il disegnatore – non mi pare sia stata fatta ancora chiarezza”. Apriti cielo. “Sei una testa di c…, un idiota, un imbecille”. A nulla vale il tentativo della conduttrice Myrta Merlino di riportare alla ragione il critico d’arte.

Il disegnatore Vauro Senesi. Sopra: Vittorio Sgarbi

“Ci sono magistrati – urla Sgarbi al disegnatore – che lavorano da 30 anni rompendo il c… su Berlusconi. Non è possibile sentire questa menata continua. Hanno lavorato solo su di lui e se avessero trovato materia lo avrebbero arrestato”. E ancora rivolto verso Vauro: “Non rompa il c… questo imbecille, sei un idiota, una testa di c… sei”.

La Merlino tenta ancora di far tornare la calma, ma l’ira di Sgarbi non si placa: “E’ una vergogna. Ha detto che Berlusconi è mafioso e che la magistratura ha fatto omissioni, peggio di così…”. Poi, rivolgendosi alla conduttrice, conclude così la sfuriata: “Caccialo via questo idiota”, con Vauro sempre più basito e ridotto al silenzio.

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Ci chiediamo cosa debba fare ancora Vittorio Sgarbi per non essere più invitato nelle trasmissioni televisive (una raccolta firme, un corteo, una protesta davanti al Parlamento, cosa?), soprattutto dalla Rai che, in quanto servizio pubblico, è preposta all’educazione e alla crescita culturale degli italiani, specie delle nuove generazioni. La stessa Rai, che da un lato non fa lavorare da decenni giornalisti scomodi e straordinari come Gianni Minà – autori di programmi che hanno segnato un’epoca – , ma che dall’altro stende tappeti rossi a un personaggio che, oltre ad avere sdoganato il turpiloquio in tivvù, aggredisce i suoi interlocutori quando si permettono di esprimere dei dubbi sulla nascita dei patrimoni del Berlusca. Che, secondo le indagini giudiziarie, sono davvero sospetti in quanto sarebbero di provenienza mafiosa.

Il giornalista Gianni Minà

Se certe verità giudiziarie sull’ex cavaliere sono ormai acclarate – condannato a quattro anni di reclusione (tre anni condonati dall’indulto del 2006) per frode fiscale con sentenza passata in giudicato, all’interdizione ai pubblici uffici per due anni, alla decadenza dalla carica di senatore votata dal Parlamento in virtù della legge Severino – è proprio sull’origine dei suoi capitali e sui presunti rapporti con Cosa nostra, specie sull’eventuale coinvolgimento nelle stragi degli anni Novanta di cui recentemente, secondo i magistrati, ha  parlato il boss Giuseppe Graviano in una intercettazione, che non è stato squarciato completamente il velo.

Ma sui rapporti con la mafia (e non solo) tre cose sono certe: 1) il braccio destro di Berlusconi, sia in campo imprenditoriale sia che in campo politico, si chiama Marcello Dell’Utri ed è stato fondatore, assieme a lui, di Forza Italia, partito grazie al quale Berlusconi è diventato presidente del Consiglio e per un ventennio parlamentare. Dell’Utri sta scontando una condanna a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa, quindi… fate voi; 2) uno dei più fidati collaboratori del fondatore di Mediaset si chiama Vittorio Mangano, è morto da alcuni anni ed è stato definito dallo stesso Berlusconi “un eroe” per non aver avere vuotato il sacco (come prevedono le leggi mafiose) su certe operazioni Palermo-Milano di cui Berlusconi, Dell’Utri e lo stesso Mangano sarebbero stati protagonisti. Mangano è stato considerato dai magistrati “un mafioso e un pluriomicida”, e da Paolo Borsellino una delle “teste di ponte dell’organizzazione mafiosa nel Nord Italia”; 3) alla fine degli anni Settanta, Silvio Berlusconi aderì alla loggia massonica P2, un’associazione che, secondo quanto emerge dalle inchieste della magistratura e della Commissione parlamentare P2 presieduta da Tina Alselmi, è stata dietro a molti atti eversivi verificatisi in Italia nel dopoguerra (dal caso Moro alle stragi, fino ai delitti eccellenti), in molti casi con l’auspicio di Cosa nostra. Tutto questo (e molto altro), guardando certa televisione, non trapela affatto.

Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri, fondatori di Forza Italia

Il fatto che Sgarbi da oltre vent’anni aggredisca puntualmente chi osa sostenere la metà della metà della metà di quanto emerge dalle risultanze processuali, la dice lunga sul ruolo che egli ha ricoperto come sindaco di Salemi, Comune del trapanese sciolto per mafia mentre il critico d’arte svolgeva il suo mandato di primo cittadino, voluto e appoggiato da un personaggio inquietante come Pino Giammarinaro (trait d’union, secondo i magistrati, tra la mafia, la politica e il mondo della sanità siciliana), e sul ruolo di assessore della giunta Musumeci che egli si appresta a ricoprire alla Regione siciliana.

Tutto questo chi lo invita in televisione – ripetiamo, soprattutto la Rai – non può ignorarlo, magari venendoci a raccontare che Sgarbi è un intellettuale.

Sgarbi non è un intellettuale, per la semplice ragione che un intellettuale – per citare Sciascia, Fava e Pasolini – deve essere onesto e libero. Il concetto di onestà è strettamente collegato con quello di libertà perché solo se si è veramente liberi, senza farsi condizionare né cooptare dal potere, è possibile esprimere obiettivamente il proprio pensiero.

Un intellettuale ha il dovere di esercitare il diritto di critica e di controllo nei confronti del Palazzo, e al tempo stesso deve mettere a disposizione il suo sapere affinché l’opinione pubblica possa avere consapevolezza di chi la governa.

Vittorio Mangano

Vittorio Sgarbi è un uomo intelligente, colto, possiede una ottima dialettica, ma non può è un intellettuale, in quanto mette la sua intelligenza, la sua cultura, la sua dialettica al servizio del potere, e quindi di se stesso, perché non c’è dubbio che se egli è diventato un potente, lo deve essenzialmente al rapporto di “do ut des” instaurato con politica.

È vero, da anni conduce una battaglia contro “la mafia delle pale eoliche” di cui bisogna dargli atto. Ma non basta. Ci sono tali e tanti motivi per il quale riteniamo che Sgarbi non può essere considerato un intellettuale e quindi non comprendiamo a che titolo venga chiamato continuamente in televisione. Se viene invitato come critico d’arte, che svolga “solo” questo compito. Ma se deve parlare di politica o di mafia, non può essere invitato.

Basta dare un’occhiata al suo curriculum: sindaco comunista di San Severino Marche, cambia bandiera una decina di volte, a seconda dei momenti, dai liberali alla lista Pannella, dal Movimento per l’autonomia di Raffaele Lombardo a Forza Italia, passando addirittura per i monarchici. Diventa parlamentare e passa disinvoltamente da un sottosegretariato a una presidenza di una commissione, fino a diventare Sovrintendente di realtà importanti. Attualmente, secondo l’ex presidente della Commissione antimafia europea Sonia Alfano, “Sgarbi è un pregiudicato per truffa aggravata e continuata ai danni dello Stato”.

Vent’anni fa, dalle tv di Berlusconi – senza contraddittorio – in una trasmissione ritagliata apposta per lui (“Sgarbi quotidiani”), attaccava violentemente quelli che non erano graditi al suo editore, a cominciare dall’ex procuratore di Palermo Giancarlo Caselli (colui che, dopo la morte di Falcone e Borsellino, da Torino, chiede il trasferimento a Palermo per continuare la loro battaglia), da Sgarbi definito “assassino”, fino all’ex procuratore di Milano Guido Borrelli, reo di aver fatto scoppiare lo scandalo di Tangentopoli.

Vittorio Sgarbi e Pino Giammarinaro a Salemi (Trapani) durante un comizio

Pochi anni fa compie l’ennesimo capolavoro: diventa, come detto, sindaco di un minuscolo e lontano paese della Sicilia: Salemi. A volerlo è la persona che nel comune trapanese ha preso il posto dei cugini Salvo (ricordate Nino e Ignazio Salvo, i potenti esattori mafiosi?): Pino Giammarinaro. Vittorio Sgarbi risponde al suo appello e si candida, lasciandosi andare a sperticati elogi nei suoi confronti in occasione dei comizi che lo vedono affiancato al suo nuovo riferimento politico. Da quel momento è un susseguirsi di ritornelli che recita a memoria nei salotti televisivi: “La mafia non esiste”, “i veri mafiosi sono gli antimafiosi”, “Giammarinaro è una brava persona, un eletto anche, che non condiziona l’attività della mia giunta”.

Di diverso parere è il suo ex assessore agli Eventi, Oliviero Toscani, che si dimette in polemica con lui. Ma soprattutto lo sono i magistrati, che scrivono: “Dall’esito di siffatte indagini, è emerso il costante tentativo da parte dell’ex sorvegliato speciale di Pubblica sicurezza Giuseppe Giammarinaro di condizionare l’attività amministrativa del Comune di Salemi, partecipando occultamente alle fasi decisionali più importanti”.

Quindi il Consiglio comunale di Salemi – su disposizione dell’ex ministro dell’Interno, Roberto Maroni – viene sciolto per infiltrazioni mafiose. Sgarbi si dimette dicendo di non essersi accorto di nulla e chiedendo simultaneamente a Berlusconi di candidarlo a sindaco di Parma. Roba di qualche anno fa, roba di oggi. Adesso quest’altra avventura alla Regione Sicilia.

Luciano Mirone