Arriva sulla spiaggia al calar della sera, quando il sole si perde dietro la montagna e i colori diventano tenui, quando le torme di bagnanti si diradano e lasciano il posto a quei pochi pescatori che dalla riva ripetono un rito antico quanto l’uomo. Arriva in quel tratto di mare diventato famoso in tutto il mondo perché nell’immediato dopoguerra, quando le spiagge erano appannaggio dei soli ricchi, vi si recava la “divina” Greta Garbo, ospite del suo dietologo Gayelord Hauser, che a sua volta era ospite di Giovanni Panarello, l’antiquario di Taormina, amico dei divi di tutto il mondo, che proprio qui aveva la sua villa sul mare, le cui cupole bianche e orientaleggianti si vedono dalla spiaggia.

Greta Garbo. Sopra: “Le dimore dei pescatori”. Dipinto di Giuseppe Mancuso

Tempi più poveri ma infinitamente più semplici e più veri di questi. Il personaggio di cui parliamo sembra uscito proprio da quell’epoca. Perché lui non è un pescatore come tanti: è Cosma e a Letojanni, sotto Taormina, è un’istituzione.

Dopo il tramonto lo vedi spuntare, scende dalla scaletta di cemento, il corpo massiccio, i pantaloni all’inglese, la maglietta eternamente blu, in una mano un paio di canne da pesca, nell’altra un secchio dove conserva il segreto delle sue pesche: né gamberetti, né acciughe, né vermi, ma una mistura di farina, acqua e formaggio fermentato, con delle briosce conservate a parte che a fine giornata Cosma raccoglie nei bar e usa per la pesca.

I pesci ne vanno ghiotti e lui, pescatore di vaglia, riesce a percepire perfino i loro gusti. Si piazza sempre nello stesso posto, sia in estate che in inverno, proprio sotto la casa che ospitava la Garbo, per ore. Sempre lì. Né un metro avanti né uno indietro. In corrispondenza di un riflettore il cui fendente luminoso attraversa le onde e attira i pesci che si spostano in quella direzione. Poi studia la corrente, osserva le stelle e sceglie la canna da utilizzare: quella da riva se i venti spirano da una parte, quella col mulinello se spirano da un’altra. Poi prende un paio di briosce da un sacchetto, le inzuppa di acqua salata, le riduce in poltiglia e le butta ai pesci. Immediatamente quel lembo di mare comincia a ribollire. Di ricciole, di cefali, di ope, di saraghi, che saltano e si avventano voracemente su quella leccornia mentre Cosma prepara il colpo da maestro: lancia gli ami in mezzo a quei gorgheggi e tira fuori pesci fantastici.

Un sistema che fa sorridere i pescatori più scafati, quelli che escono con la barca con le reti e con le lampare, ma che funziona a meraviglia. E Cosma ne è l’inventore. Manco il tempo di buttare altra esca ed ecco che da quelle spume bianche il pescatore cattura altri pesci e con orgoglio farfuglia delle parole di scherno verso gli altri pescatori che nel frattempo non hanno pescato manco una scarpa e lo guardano con invidia.

Barca a mare

Ma a un certo punto s’incazza. Succede quando qualcuno ha la felice idea di fare il bagno a quest’ora. Nel regno di Cosma? Non sia mai! La pesca è un rito sacro che nessuno deve osare profanare. E allora il pescatore comincia a lanciare messaggi ad alta voce: “Oggi il mare è pieno di meduse, diverse persone sono finite in ospedale”.

Se il bagnante è un ingenuo turista, ci crede ed esce immediatamente; se è uno che conosce il trucco resta in acqua ed è a quel punto che Cosma borbotta tra sè: “Stu gran curnutu… Mi fa scantari ‘i pisci”. Sbotta e poi ritenta: “’I medusi ci sunnu!”. Niente da fare. Un’occhiata all’orologio, un’altra al secchio pieno di pesce: “Nenti… Mi nni vaiu!”. Mentre cummogghia i bagattelli, dal mare si sente un grido, il bagnante esce dall’acqua con un braccio che  brucia. “Ti ll’avìa dittu chi cci sunnu ‘i medusi”.

Luciano Mirone