In principio fu Renata Fonte. Faceva l’assessore a Nardò, nel leccese, amava la sua Terra e si opponeva alle speculazioni edilizie. Il 31 marzo 1984 fu freddata da due sicari. Da quel momento la sua voce è stata messa a tacere per sempre, da quel momento la Puglia è una regione più povera, anche se oggi stanno succedendo cose inimmaginabili.

Oggi, a trentatré anni di distanza, nella stessa regione assistiamo a una strage degna della Chicago degli anni Venti: quattro morti. Due boss del Gargano e due contadini “colpevoli” di essere stati testimoni oculari del delitto. Luogo: San Marco in Lamis. Provincia: Foggia. Data: 9 agosto 2017. Ma sta succedendo anche altro, di rivoluzionario e di bello. Prima di vedere cosa, è doveroso porre due domande.

Ulivi millenari della Puglia. Sopra: i funerali dei due contadini pugliesi vittime innocenti della strage di San Marco in Lamis (Foggia)

Cosa resta in Puglia dopo questa strage, cosa resta del sacrificio di Renata Fonte? Questa regione possiede gli anticorpi per fronteggiare un fenomeno che non ha raggiunto i livelli di violenza registrati in Sicilia, in Calabria e in Campania, ma che, con 17 morti dall’inizio dell’anno (8 solo negli ultimi due mesi), appare in rapida ascesa?

Anita Rossetti è una militante del Salento (l’estrema propaggine della regione in provincia di Lecce), da tanti anni è impegnata contro la mafia, il malaffare e le speculazioni edilizie. Mille battaglie portate avanti ora col movimento delle Agende rosse di Salvatore Borsellino (fratello del magistrato trucidato in Via D’Amelio), ora col comitato per Saverio Masi, il maresciallo dei carabinieri che ha denunciato i suoi superiori che gli avrebbero “consigliato” di lasciar perdere i grandi latitanti di Stato come Bernardo Provenzano o Matteo Messina Denaro, malgrado si fosse a un passo dalla loro cattura; ora con il movimento per la difesa di un paesaggio unico al mondo messo in pericolo dalla Tap (il gasdotto che parte  dall’Azerbaijan e passa dalla Puglia) e dal batterio della Xilella. Due fenomeni apparentemente slegati, ma che – secondo i magistrati – hanno due punti di convergenza: gli affari colossali e l’eliminazione di centinaia di ulivi millenari che per molti pugliesi rappresentano tutto.

Che c’entrano gli ulivi con l’assassinio di Renata Fonte e la strage del 9 agosto? “La lotta per il Bene comune riguarda tutto: la difesa degli ulivi, la difesa di una terra dagli attacchi della mafia e della speculazione, e la difesa della memoria di Renata Fonte”, dice Anita.

In Puglia non ci sono gli stessi fermenti espressi dalla Società civile siciliana soprattutto dopo le stragi di Capaci e di via D’Amelio: troppo recente il fenomeno rispetto a quello di altre regioni del Sud. Eppure esiste un lievito culturale, un movimento che parte “dal basso”, per la difesa della terra e del paesaggio che altrove non c’è. Una speranza concreta per molti pugliesi.

“La mia regione è intaccata da una criminalità organizzata specializzata negli investimenti finanziari. Basta vedere – dice Anita – quello che sta succedendo per la Tap. La Sacra corona unita è solo quella che spara, ma i mafiosi stanno ben più in alto. Ecco perché non bisogna abbassare la guardia”.

“Se pensiamo che da Luciano Liggio in poi – prosegue – diversi mafiosi di primo piano hanno trascorso la latitanza in Puglia (da Vernengo a Pecoraro, con Totò Riina che si è fatto parecchi anni di carcere in questa regione), comprendiamo come il fenomeno abbia radici abbastanza profonde. Certamente non come in altre regioni meridionali, ma se non si corre ai ripari c’è il rischio che la strage di Foggia non sia solo un episodio. La Sacra corona unita, in questi anni, ha lavorato in sordina: prima attraverso il traffico di contrabbando di sigarette e poi di armi e droga. Quando a Palermo era arrivato l’esplosivo per Di Matteo, si parlò di un passaggio dalla Puglia. Dalla mia regione, secondo quanto è stato accertato dalla magistratura, è passato il tritolo della strage di Capaci. Questo fa capire che ci troviamo in una sorta di zona franca dove i riflettori si vogliono tenere spenti per far passare di tutto. Una recente inchiesta della Procura di Palermo ha accertato che tre imprese pugliesi sono riconducibili a Totò Riina. Il clan dei Casalesi ha messo radici in questa regione attraverso il traffico dei rifiuti interrati”.

Anita Rossetti

“Di tutto questo”, seguita Anita, “non si parla, così come non si parla degli affari che si vogliono fare mediante la Xilella. Non esiste uno studio scientifico che attesti che sia proprio la Xylella la causa del disseccamento dei nostri ulivi. Eppure vogliono fare passare il messaggio che la Xilella è dannosa. Lo scopo è  quello di sradicare gli alberi monumentali e fare arrivare in Puglia gli ingenti finanziamenti dell’Unione europea. Si sta usando questa terra come cavia. Un cinismo da far paura. Lo stesso che stanno utilizzando per la Tap: Paolo Biondani sull’Espresso ha fatto delle inchieste clamorose scoprendo che alla base di tutto c’è un affare ingentissimo che parte dalla dittatura dell’Azerbaijan, passa dalla Turchia e dalla Grecia e arriva fino a noi. In questo business c’è il riciclaggio del denaro sporco della ‘ndrangheta”.

Parla con passione Anita, non fa una pausa: “Qui c’è quel tipo di criminalità su cui si sofferma il procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato quando parla di masso-mafia che utilizza le istituzioni. Qui ci sono alcune Amministrazioni comunali che si muovono nella direzione di determinati interessi. Basti pensare che di recente è stato sciolto il Consiglio comunale di Parabita, in provincia di Lecce, per infiltrazioni mafiose. Questa regione è piena di prestanome che gestiscono gli affari dei mafiosi, le aste giudiziarie, gli impianti sportivi, i cimiteri”.

“La Fonte si oppose strenuamente ad un progetto di speculazione edilizia in un territorio bellissimo che oggi è parco naturale ed è intitolato proprio a lei. E oggi, dopo trentatré anni, il suo Comune che fa? Il sindaco e la giunta, finché erano all’opposizione, facevano gli ambientalisti opponendosi ad una lottizzazione che oggi hanno autorizzato: la realizzazione di un resort all’interno di una ‘foresta’ (una cosa inimmaginabile per la sua bellezza) di ulivi monumentali, per giunta in un terreno molto delicato dal punto di vista idrogeologico, dove è previsto l’espianto di diversi ulivi millenari. Dietro questo affare, sono certa che non c’è la mafia (almeno fino a prova contraria), ma c’è una cultura di sfruttamento del territorio alla quale Renata Fonte si opponeva. Ora siamo arrivati al paradosso che la stessa giunta ha intitolato l’Aula consiliare proprio a Renata Fonte. Per fortuna è sorto un comitato spontaneo che si oppone alla realizzazione del resort. Ecco perché dico che la Puglia ha scoperto di avere gli anticorpi giusti. Quando vedi le mamme coi bambini che manifestano per fermare un mostro come la Tap, oppure le donne arrampicate sugli ulivi per difenderli dagli abbattimenti, ti rendi conto che è in atto una rivoluzione. Stiamo combattendo per il Bene comune. Che vuol dire combattere anche contro la mafia. Bellissimo…”.

Luciano Mirone