È il caso di chiamarli ancora “incendi” o sarebbe meglio definirli “attentati” con moventi di natura economica? Parlare ancora di incendi, quando sappiamo che gran parte di essi sono dolosi e si avvalgono di un’organizzazione articolata nel territorio, appare anacronistico e riduttivo. L’incendio è percepito come un fenomeno isolato, parziale, quasi ineluttabile, perché alla fine “il fuoco è catartico e poi c’è la natura che rimedia”.

L’attentato presuppone invece una pianificazione a tavolino, un sovvertimento dell’articolo 9 della Costituzione in merito alla tutela dell’ambiente, una violenza di azione così dirompente da essere associata a un atto terroristico. Però siccome l’attentato è commesso contro gli alberi e non contro gli uomini, preferiamo derubricare il fatto perfino nel nostro lessico comune, definendo piromani e non assassini gli autori, dimenticando in fretta senza renderci conto che nel frattempo al posto di quel bosco in montagna o di quella macchia mediterranea in collina si è costruito un orrendo agglomerato di palazzine che causerà frane, smottamenti, alluvioni e morti.

Interessante quello che in altra parte di questo giornale dice Gianfranco Zanna, presidente di Legambiente Sicilia: è vero che la legge prevede l’inedificabilità della superficie incendiata per dieci anni, ma a condizione che i Comuni facciano il loro dovere attraverso un censimento del territorio danneggiato, che poi deve essere vincolato dai Piani regolatori e paesistici. Ma se gran parte dei sindaci – secondo quanto dichiara Legambiente – omette un atto così fondamentale, la legge rischia di essere un contenitore vuoto e quei terreni un tempo popolati da pini, querce e ulivi secolari il luogo ideale per soddisfare certi famelici appetiti. A completare il quadro – secondo Zanna – è la Regione, assolutamente inadeguata a fronteggiare l’emergenza.

Quello che ogni anno succede in Sicilia – soprattutto in Sicilia, dato che questa regione detiene il triste primato di questo fenomeno – è troppo dirompente per non essere considerato un atto eversivo a tutti gli effetti. Vorremmo capire, in questo contesto, se le azioni di cui sopra hanno collegamenti politici o la politica non c’entra. In poche parole vorremmo comprendere se la politica non fa il proprio dovere per incapacità, per ignoranza, per dimenticanza o per altro. Le inchieste della magistratura dovrebbero chiarire anche questo. L’arresto e la condanna dell’esecutore ci interessa fino a un certo punto. Vogliamo sapere ben altro.

Luciano Mirone