Più che un “errore” giudiziario, possiamo definirlo un “orrore”, di gran lunga peggiore a quello inflitto ad Enzo Tortora. Per questo dopo 22 anni di ingiusta detenzione, lo Stato riconosce a Giuseppe Gulotta un risarcimento record di 6 milioni e mezzo di Euro. C’è voluto un processo di revisione per stabilire l’innocenza di quest’uomo.

Un calvario quello di Giuseppe Gulotta, che inizia il 26 gennaio 1976 quando due carabinieri in servizio alla Stazione di Alcamo Marina (Trapani), Carmine Apuzzo e Salvatore Falcetta, vengono trucidati a colpi di arma da fuoco senza un motivo apparente. È il periodo degli attentati delle Brigate rosse. Il periodo in cui al Centro-Nord vengono ammazzati poliziotti, carabinieri, magistrati, uomini politici come Aldo Moro. L’Italia è dilaniata dalla tensione. Ma in Sicilia, dove tutto è sotto il controllo di Cosa nostra, di morti ammazzati per terrorismo rosso, non ce ne sono. Le indagini, invece di muoversi a trecentosessanta gradi, convergono verso la sinistra extraparlamentare.

I due carabinieri uccisi nella strage di Alcamo Marina, Carmine Apuzzo e Salvatore Falcetta. Sopra: Giuseppe Gulotta

A farne le spese sono diverse persone. Fra queste Giuseppe Gulotta e Peppino Impastato (ora vedremo perché). Il primo viene portato in caserma e “torturato da un settore deviato dei carabinieri”, sia attraverso l’elettroshock, sia mediante acqua salata, in modo da dargli la sensazione dell’annegamento.

A rivelare questo clamoroso retroscena, alcuni anni fa, è l’ex brigadiere dei carabinieri Renato Olino, testimone oculare dei fatti, che con le sue dichiarazioni fa riaprire il processo e ridà la libertà all’uomo ingiustamente incarcerato per ben 22 anni.

Per Gulotta l’incubo finisce il 13 febbraio 2012, quando la Corte d’Appello di Reggio Calabria riconosce la sua totale estraneità a quella strage. Oggi lo Stato ha deciso: 6 milioni e mezzo di Euro a titolo di risarcimento.

La vita di Giuseppe Gulotta, in quella tragica notte del ’76, scorre parallela a quella di Peppino Impastato. Che c’entra Impastato con la strage di Alcamo Marina? “Peppino indagava su diversi fatti inquietanti che si stavano verificando in quel periodo, a cominciare dall’eccidio di Alcamo Marina ”.

Peppino Impastato

Giovanni Impastato è il fratello dell’ex leader di Democrazia proletaria di Cinisi, paese distante una manciata di chilometri dal luogo della strage. Su questa vicenda ha le idee chiare: “Peppino scriveva e diceva quello che le sue fonti gli confidavano, fatti, episodi e retroscena legati a quel duplice omicidio. Quella notte scattarono le perquisizioni: i carabinieri irruppero a casa nostra perché volevano a tutti i costi gli assassini”.

In particolare, Giuseppe denunciava la connivenza tra mafia, neofascismo e alcuni settori deviati delle istituzioni. Una commistione che più tardi avremmo conosciuto col nome di Gladio, organizzazione che, secondo l’ex presidente del Consiglio Walter Veltroni, sta dietro la strage di Alcamo Marina e il delitto Impastato.

“In alcune trasmissioni – seguita Giovanni – mandate in onda da Radio Aut, mio fratello si soffermava sull’uccisione dei due militari. La collegava con la mafia e con l’estremismo di destra, che allora in quella zona allestiva i campi paramilitari”.

Due anni dopo Impastato venne trovato morto sulla linea ferrata Palermo-Trapani, dilaniato dal tritolo che la mafia usava nelle cave di pietra. Anche in quel caso fu organizzato un depistaggio in grande stile: si fece passare il messaggio che Peppino, intenzionato a compiere un attentato, era rimasto vittima della sua stessa bomba. Per tanti anni la versione ufficiale fu questa. “La notte in cui morì mio fratello”, dice Giovanni, “sequestrarono un sacco di appunti e documenti, che non sono stati mai restituiti”.

Parecchio tempo dopo furono due grandi magistrati a riaprire il caso: Rocco Chinnici (ucciso da un’auto bomba nel 1983) e Antonino Caponnetto. Scoprirono ciò che anche i depistatori sapevano: che Impastato era stato ucciso in un casolare e portato sui binari per simulare un suicidio. Per Gulotta la messinscena era stata un’altra, ma organizzata dalle stesse persone.

Luciano Mirone