Mark Twain è noto per aver raccontato al mondo le avventure personali e quelle dei suoi compagni di scuola sulle rive del Mississippi e dell’America, attraversata dai battelli, degli anni cinquanta dell’800.

Il prepotente Tom, la zia Polly, la timida Becky, il cattivo Joe il Pellerossa, il volgare Huck Finn, protagonisti de Le avventure di Tom Sawyer, e le loro ansie, le loro gioie, le loro bischerate, hanno accompagnato gli adolescenti del pianeta nel loro passaggio alla vita adulta.

Eppure, dalla biblioteca del mondo, saltano fuori pagine inquietanti scritte proprio da Mark Twain e relegate per molto tempo nel silenzio imposto sino al 1966 dall’Index Librorum Prohibitorum; una sorta di resa dei conti tra il padre della letteratura americana e l’ipocrisia morale ed esistenziale dell’uomo, compendiata in un breve saggio dal titolo Lettere dalla Terra, scritto nel 1909 e pubblicato nel 1962 per volontà della figlia.

Una scrittura dissacrante, sarcastica, cinica sul Cristianesimo e sul progetto divino della Creazione. Un violento atto di accusa, sotto forma di undici lettere che Satana invia dalla Terra a san Michele e a san Gabriele, rivolto al Padre Celeste inteso un “Dio senza coscienza” e un “fallimento morale”, interprete di una falsa misericordia che si regge su “gigantesche ipocrisie” e che ordina “il massacro integrale di uomini, neonati e bestiame”.

Mark Twain. Sopra: Aylan Kurdi, il bambino profugo trovato morto qualche anno fa nelle coste turche

Anatemi, quelli del giornalista del Territorial Enterprise, talmente dissacratori e virulenti da far accapponare la pelle al popolo della fede e all’esercito di Cristo. E Mark Twain non aveva vissuto le tremende tragedie dei conflitti mondiali, dell’olocausto e dell’attuale barbarie terroristica. Non aveva ancora cristallizzato, nei suoi occhi, le immagini di Aylan Kurdi, il bambino siriano di tre anni spiaggiato senza vita a Bodrum, in Turchia, ed emblema di un genocidio senza fine legato all’emigrazione; o quelle di Mohammed, bimbo di etnia Rohingya, in fuga dalla Birmania dei militari e morto nel fiume Naf insieme al fratello e alla madre. O, ancora, quelle sempre più consuete del dolore irriferibile impresso sul volto di quei genitori che accolgono le bare dei figli negli aeroporti di mezza Europa, vittime innocenti della follia terroristica che si abbatte come spada di Damocle su un mondo terrorizzato.

Mark Twain, dal canto suo, abile narratore dell’ingenuo e felice mondo dei ragazzi era, tuttavia, profondo conoscitore di quello altrettanto crudele degli adulti. Nelle sue Lettere dalla Terra cita, quale prova a carico di un inerme “Padre Misericordioso”, tra gli altri, il massacro perpetrato dagli Indiani del Minnesota “profondamenti offesi e proditoriamente umiliati dal governo degli Stati Uniti”, invitando il lettore a valutare l’episodio:

“Dodici Indiani”, racconta Twain, “fecero irruzione in una fattoria allo spuntare del giorno e ne fecero prigioniera la famiglia, composta dal fattore, sua moglie e quattro figlie, di cui l’ultima aveva quattordici anni e la prima diciotto. Essi crocifissero i genitori; più precisamente, li misero tutti nudi contro il muro del soggiorno e inchiodarono loro le mani. Poi denudarono le figlie, le gettarono a terra davanti ai genitori e le stuprarono ripetutamente. Infine, crocifissero le ragazze sul muro opposto a quello dove erano crocifissi i genitori e mozzarono loro mani e seni. Inoltre … ma è meglio non continuare. C’è un limite. Ci sono oltraggi così atroci che la penna non riesce a scriverne”. E sì, c’è un limite, afferma Mark Twain; un confine all’orrore e ai massacri di cui l’uomo, sin dalla notte dei tempi, continua a insudiciarsi secondo una fantomatica legge di natura che è legge divina, e che il Dio, suo procreatore, non continua a impedire, mortificando quel ruolo che ipocritamente ricopre di “maestro di gentilezza, di mansuetudine, di rettitudine, di purezza”. Espressioni dure, quelle sollevate dalla penna di Twain, che condannano senza appelli la natura umana e, pari tempo, selvaggia; destituiscono un Dio incapace; deplorano un mondo senza via di scampo.

Edgar Morin

Senza entrare in agguerrite dispute teologiche, sistemi metafisici, precetti evangelici, e nel rispetto di tutte le religioni e di chi le professa, l’impressione è che il noto scrittore americano, dal pungente sarcasmo e fuori da ogni ipocrita e pseudo morale sociale, abbia voluto porre l’accento sull’incoerenza e sulla tragedia del comportamento umano, sordo alla parola di un Dio di cui non sarebbe certa neanche l’esistenza. E questo in nome, anche, di una libertà di pensiero e di scrittura sostenuta da toni a lui più confacenti.
A distanza di un secolo, la sintesi di questo deplorevole connubio è stata sintetizzata nella famosa dichiarazione di un altro scrittore americano, William Clark Styron, concernente l’Olocausto:
“L’affermazione più profonda che sia mai stata pronunciata a proposito di Auschwitz non fu affatto un’affermazione, ma una risposta. La domanda: “Ditemi, dov’era Dio, ad Auschwitz?”. La risposta: “E l’uomo, dov’era?”

Mark Twain, aumentando la sua irriverenza e il suo cinismo per bocca di un Satana in vacanza sulla Terra, ha voluto fissare nel cuore del mondo, una volta per tutti e per tutti i secoli, una verità che, ahimè, sembra sacra al pari delle Scritture religiose: l’animale razionale vive di irrazionalità e violenza; continuerà a perpetrare violenza; morirà di violenza.

Le attese e le illusioni, infatti, alimentate dai buoni propositi del carattere di ognuno, dall’etica religiosa (per chi la professi) e dal sano principio di qualche leader politico, da una lodevole struttura educativa di fondo, si rincorrono all’infinito per poi, alla fine, tramutarsi in disillusioni sempre più squallide e per certi aspetti quasi prevedibili.

Bambini in un campo di concentramento nazista

E ciò si verifica su vari fronti: gli scenari mondiali, gli effetti delle congiunture economiche,  gli orrori sanguinari quotidiani, le dinamiche relazionali personali, l’ingiustizia trionfante, la trincea professionale; tutto ridotto alla famigerata espressione “homo homini lupus”.

Si esce da casa armati sino ai denti di diffidenza, di pregiudizio, di spinta aggressiva per supportare la difesa e l’autodifesa, consapevoli della territorialità del male.  Si esce da casa per entrare in guerra laddove, come potrebbe anche capitare, la guerra irrompe financo dentro le pareti domestiche.

E intanto le campane della messa vespertina richiamano, per la medina paesana, i fedeli-diavoli all’ascolto della buona novella giornaliera di una qualche Trascendenza, rea di aver esagerato con la consistenza della dose d’ipocrisia cosparsa sul martoriato pianeta.

Per concludere, tutto scorre, nuovi ordini mondiali ed esistenziali si edificano e si assestano, la trincea quotidiana rimane sempre più agguerrita, i ricordi si affievoliscono, i giorni all’orizzonte diminuiscono, nessuno vince eccetto i perdenti.

E la Storia non insegna!

L’animale razionale non si distrarrebbe dalla sua azione (incessante e giornaliera) di attuazione del suo mediocre egoismo nemmeno dinanzi ad un meteorite a pochi istanti dall’impatto apocalittico. Ogni giorno si ricomincia. Più agguerriti di prima a difendere il proprio diritto alla sopravvivenza. Scrive il sociologo francese Edgar Morin: “Il sottosviluppo degli sviluppati è un sottosviluppo morale, psichico e intellettuale. […] dobbiamo vedere la mancanza d’amore delle società sazie, la malvagità e l’aggressività miserande degli intellettuali. […] Vi è una miseria che non diminuisce con la diminuzione della miseria fisiologica e materiale, ma aumenta con l’abbondanza e il tempo libero.” La sentenza di Morin è spietata: “l’umanità non ha ancora acquisito nessuna protezione immunitaria contro i mali interni che la devastano”. Siamo in agonia planetaria, come se il mondo fosse impotente a diventare mondo e l’umanità impotente a diventare umanità.

Papa Francesco

In verità è come se l’homo sapiens, l’homo oeconomicus, l’homo civilis (politico) non fossero un’unica unità antropologica ma esseri animati da finalità diverse e pronti a rischiare anche la conservazione.

A Mark Twain e alla sua irriverenza il merito di aver denunciato più di un secolo fa lo stato delle cose. A papa Francesco quello di tentare, con una straordinaria energia, un cambio di rotta in un mare d’infedeli, dagli abissi sempre più spaventosi e con la salvezza all’orizzonte sempre più lontana. La conciliazione con il male, forse, passerà da questo piccolo grande portavoce di Cristo venuto dai confini del mondo.

Luciano Armeli Iapichino