L’inchiesta ufficiale ha scandagliato a trecentosessanta gradi sul “suicidio” di Adolfo Parmaliana? Lo ha considerato un suicidio comune o un “suicidio” a sfondo politico?

Dubbio numero due. Perché questo brillante docente di Chimica industriale, 50 anni, una prestigiosa carriera universitaria, una famiglia meravigliosa, un rapporto protettivo con la moglie e i figli, un benessere economico superiore alla media, la mattina del 2 Ottobre 2008 prende la macchina, percorre alcuni chilometri di autostrada, posteggia in corsia di emergenza, scende dall’auto, scavalca il guard rail, e si lascia andare nel vuoto schiantandosi al suolo, dopo un volo di trentacinque metri? Soffre di depressione o di malattie mentali? No. L’unico fatto certo è che è deluso per quel rinvio a giudizio per diffamazione subito qualche tempo prima. Perché? Aveva presentato un esposto contro il malaffare politico del suo comune, Terme Vigliatore, settemila abitanti in provincia di Messina, ma i magistrati di Barcellona, invece di colpire “loro”, hanno colpito lui. Ma è vero che Parmaliana, più che deluso, in quel periodo, era preoccupato o aveva addirittura paura?

Dubbio numero tre. È vero che la famiglia è stata avvisata della disgrazia (avvenuta intorno alle 10 del mattino) circa quattro ore dopo?

Dubbio numero quattro. E’ vero che intorno alle 14 dello stesso giorno, a casa del professore (per informare la famiglia), si sono presentati tre carabinieri in divisa e un numero imprecisato di uomini in borghese?

Dubbio numero cinque. È vero che sono stati sequestrati il computer, gli appunti ed altro materiale del docente universitario?

Un “suicidio” a sfondo politico?

Dubbio numero sei. Se questo è vero, insistiamo con la domanda iniziale: suicidio comune o suicidio a sfondo politico? Adolfo non era un uomo qualunque, era un personaggio troppo scomodo per quel sistema osceno contro il quale egli lottava da sempre: era segretario della locale sezione dei Democratici di sinistra, da tanti anni era il leader dell’opposizione di Terme Vigliatore. E Terme Vigliatore vuol dire Barcellona Pozzo di Gotto, con le sue incredibili collusioni fra mafia, politica, massoneria, servizi segreti deviati e pezzi di magistratura. Una circostanza non da niente.

Un leader illuminato Adolfo Parmaliana, integerrimo e trasparente. Il quale, con i suoi gesti coraggiosi, in poco tempo pone all’attenzione nazionale la situazione del triangolo Terme Vigliatore-Barcellona-Messina: nel 2002 davanti al Csm denuncia l’ex procuratore generale della Repubblica di Messina Antonio Franco Cassata e l’ex Pm Olindo Canali (successivamente trasferito a Milano per incompatibilità ambientale). Nel 2005, con i suoi esposti, contribuisce a fare sciogliere per infiltrazioni mafiose il Consiglio comunale di Terme Vigliatore. Dunque bisogna partire dalla “pericolosità” che quel sistema attribuisce a questo “eroe borghese” per capire che questo non è un suicidio come tanti, ma qualcosa di molto più profondo e ineffabile.

Gli omicidi camuffati da suicidi

Dubbio numero sette. Se sono stati sequestrati il pc, gli appunti ed altri “oggetti sensibili”, quale è stato l’esito del controllo? Quale è stato il risultato dell’autopsia e dell’esame esterno del cadavere? Chi eseguì queste due ultime operazioni? Furono riscontrate ecchimosi o fratture diverse da quelle formatesi dopo l’impatto col suolo, furono trovate sostanze anomale (droga, veleno, sedativo, ecc.) nell’organismo del professore universitario?

Dubbio numero otto. È stataeseguita una perizia calligrafica nella lettera in cui il professore “confessa” i motivi del gesto oppure è stato sufficiente mostrare il documento ai familiari per dichiararne l’autenticità e quindi, in base al contenuto, decretare la certezza del suicidio? Oggi una grafologa forense intervistata da “L’Informazione” (vedi seconda puntata) sostiene che la missiva è autentica, anche se può esserci un caso su novantanove che uno scritto possa essere contraffatto perfettamente. Ne prendiamo atto. Quindi diciamo che la lettera è “quasi” certamente autentica. Diciamo “quasi” sia perché c’è l’1 per cento di probabilità del contrario, sia perché crediamo che per vicende del genere – specie nel Barcellonese – le certezze assolute non esistono, a prescindere dalla diligenza e dall’onestà degli investigatori di Patti, competenti per territorio sul caso Parmaliana.

Ma quando parliamo di Barcellona Pozzo di Gotto, la diffidenza non è mai troppa. Si dà il caso infatti che recentemente il collaboratore di giustizia Carmelo D’Amico abbia dichiarato che la mafia barcellonese è specializzata nel camuffare gli omicidi in suicidi. Come? Mediante l’apporto dei servizi segreti deviati. L’esempio più eclatante? Quello di Attilio Manca, trovato morto nel 2004 nel suo letto di Viterbo (città dove da due anni svolgeva la sua professione) con due siringhe a poca distanza. A parere di D’Amico, l’urologo barcellonese è stato assassinato da uno 007 (anche in questo caso con un sequestro operato dalle forze dell’ordine, del pc e degli “oggetti sensibili”) su ordine dell’avvocato Rosario Pio Cattafi, ritenuto il boss di Barcellona. Manca, secondo D’Amico, sarebbe stato “colpevole” di due cose imperdonabili: avere scoperto il volto del boss latitante Bernardo Provenzano (allora nascosto col falso nome di Gaspare Troia) nell’ambito dell’operazione di cancro alla prostata in cui il medico avrebbe avuto un ruolo, e avere visto il volto di certi insospettabili che hanno nascosto e protetto il boss anche a Barcellona. Altro esempio? Il giornalista Beppe Alfano, assassinato nel ’93 per un’altra imperdonabile “colpa”: aver scoperto il covo barcellonese di un altro “boss di Stato”, Nitto Santapaola, protetto dalle istituzioni deviate per diversi decenni. Certo, nel ‘93 la mafia barcellonese non si era specializzata nei “suicidi”. Allora ricorreva solo al delitto eclatante, con sequestro del pc e di un sacco di altro materiale importante.

Attilio Manca

La mano dei servizi segreti

Sonia Alfano, ex parlamentare europea e figlia del giornalista assassinato, ha dichiarato – per averlo appreso dall’ex Pm Olindo Canali – che dopo l’omicidio, l’appartamento del giornalista si riempì di uomini dei servizi segreti (ovviamente in borghese) che rovistarono dappertutto. Questo per capire il livello eversivo di quella mafia, che proprio a Barcellona, nel 1992, costruì il telecomando della strage di Capaci.

E allora, se la cointeressenza fra Cosa nostra e servizi segreti nel Barcellonese si è verificata almeno in due occasioni, chi può escludere che si sia verificata in altre?

Dubbio numero nove. Un altro fatto oggettivo: la Procura che ha svolto le indagini sulla morte di Parmaliana, come detto, era quella di Patti, dipendente da quella Procura generale di Messina dove Antonio Franco Cassata il 29 luglio 2008 – due mesi prima della morte di Parmaliana – era assurto alla massima carica. Cassata dunque, il 2 Ottobre del 2008, è il massimo esponente del potere giudiziario che all’epoca indaga sul decesso di una persona contro la quale, a suicidio avvenuto, egli si scaglia con un dossier anonimo pieno di fango (almeno secondo i tre gradi di giudizio che lo hanno visto condannato per diffamazione a 800 Euro di ammenda). Una ulteriore dimostrazione della gravissima incompatibilità ambientale del magistrato.

Dubbio numero dieci. Passiamo alla lettera. Durante la perquisizione è stata ritrovata la missiva con la calligrafia e la firma di Adolfo Parmaliana, recante la data 1 Ottobre 2008 (giorno prima del “suicidio”). Quei fogli sono stati vergati davvero l’1 ottobre, ed eventualmente in quale momento, considerato che una lettera di quattro facciate richiede tempi di stesura non proprio brevi? La decisione del suicidio è stata estemporanea oppure ha comportato tempi di maturazione di giorni, disettimane o perfino di mesi?

Beppe Alfano

Oltre” il contenuto della lettera

È stata data alla missiva una interpretazione più estesa, magari andando “oltre” il contenuto ufficiale, “oltre” quella “gogna” alla quale il docente universitario si riferiva quando parlava della “Magistratura di Barcellona e di Messina” (riferibile, secondo un’interrogazione dell’ex senatore Antonio Di Pietro, “al dottor Cassata e al dottor Canali, come testimoniato da numerose persone informate sui fatti alla Procura della Repubblica di Reggio Calabria”) che lo avrebbe “isolato”?

C’è un brano dell’intervista con la grafologa che secondo noi riveste particolare significato: quella di Parmaliana, dice l’esperta, “è una scelta vista come unica via percorribile per poter tutelare la famiglia”. Al professore quindi non restava altra via? Perché? “Solo” per fare accendere i riflettori sui guasti di quella zona di morte o “anche” per qualcos’altro? In quel gesto estremo c’era implicitamente contenuta una “convergenza di cause” che il professore potrebbe non avere svelato per intero?

Carmelo D'Amico

L’ultimo periodo del professore

Si è studiato l’ultimo periodo di vita del professore? Si è cercato di capire se l’ex segretario dei Ds – sempre alle prese con un’attività di denuncia – era minacciato ed eventualmente da chi, se le eventuali intimidazioni avrebbero potuto coinvolgere la sua famiglia? Si è accertato se ha confidato a qualcuno o ha appreso da qualcuno determinate notizie?

Non lo sappiamo. Però sappiamo due cose: 1) nella lettera Parmaliana aggiunge: “Alcuni dovranno avere qualche rimorso, evidentemente il rimorso di aver ingannato un uomo”. A chi faceva riferimento? Da chi si era sentito “ingannato”? 2) Parmaliana era odiato in quanto in grado di destabilizzare il terribile intreccio fra mafia e istituzioni presente in quel territorio. L’inchiesta ufficiale si preoccupa di discernere fra la delusione, l’indignazione e la rabbia da un lato, e la “preoccupazione” o addirittura la “paura” dall’altro? Lui nella lettera non parla né di preoccupazione né di paura, ma sappiamo che da agosto quei sentimenti albergano nel suo animo.

Bernardo Provenzano

3^ puntata. Continua.