La Procura distrettuale antimafia di Roma diretta da Giuseppe Pignatone apre un fascicolo contro ignoti per la morte dell’urologo di Barcellona Pozzo di Gotto, Attilio Manca, trovato senza vita il 12 Febbraio 2004 nel suo appartamento di Viterbo, dove da meno di due anni lavorava presso l’ospedale “Belcolle”. Un fascicolo diverso dal “modello 45” (di indagini preliminari) aperto ad ottobre, in seguito alle dichiarazioni del boss del clan dei Casalesi, Giuseppe Setola, poi pentitosi di essersi pentito. Stavolta sul tavolo di Pignatone ci saranno atti di notevole spessore non provenienti solamente da un boss come Setola, che, pur dicendo cose ritenute “interessanti”, con i suoi atteggiamenti al limite del paranoico, è stato giudicato “inaffidabile” dai magistrati napoletani.

Il magistrato, come primo atto, potrebbe sentire il collaboratore di giustizia Stefano Lo Verso, che lo scorso 13 gennaio a Caltanissetta, nel corso del processo Borsellino quater, ha fatto intendere alla Corte di conoscere molti retroscena legati alla morte del medico barcellonese.

L’indagine di Pignatone prenderà le mosse da un Atto di denuncia “per omicidio” (un vero e proprio j’accuse contro gli investigatori di Viterbo, in primis la Procura e l’ex capo della Squadra mobile Salvatore Gava) presentato ieri mattina presso la Procura capitolina da Angela e da Gianluca Manca (madre e fratello del medico), assistiti dai loro legali Fabio Repici e Antonio Ingroia, quest’ultimo sentito ieri pomeriggio dalla Commissione parlamentare antimafia che da ottobre si occupa del Caso Manca (oggi alle 14 è prevista l’audizione del Procuratore di Viterbo, Alberto Pazienti, e del Pm Renzo Petroselli).

In un’ora di colloquio, i familiari dell’urologo hanno spiegato al capo della Dda di Roma i passaggi e le contraddizioni ( “insabbiamenti e depistaggi”, secondo Ingroia) di un caso che, più che portare a una “inoculazione volontaria” di eroina – come affermato da undici anni, senza una prova, dalla Procura di Viterbo – potrebbe portare all’operazione di cancro alla prostata alla quale, nell’autunno del 2003, si è sottoposto a Marsiglia il boss dei boss Bernardo Provenzano, operazione nella quale il dottor Manca – soprattutto lungo l’asse Barcellona Pozzo di Gotto-Viterbo – potrebbe avere avuto un ruolo, sia per la diagnosi, che per la cura post operatoria, senza escludere una eventuale presenza in Francia durante l’intervento.

Diversi gli elementi che portano i familiari a questa conclusione. Fra questi: 1) La recente testimonianza sibillina ma abbastanza chiara, del pentito Stefano Lo Verso, uomo di Bernardo Provenzano, il quale, facendo riferimento ai viaggi del suo capo in terra francese (“Due volte signor Presidente: la prima nel giugno 2003, con rientro il 15 luglio, la seconda tra il settembre e l’ottobre dello stesso anno”) rivela: “Quando lui ritorna dal primo viaggio… c’era fissato un incontro, un appuntamento, una riunione con Ciccio Pastoia (altro mafioso che prima di morire misteriosamente impiccato nel carcere di Modena svela l’esistenza di un misterioso “medico” che assiste e cura don Binnu in Italia, nda) e Nicola Mandalà, e Provenzano in macchina mi diede una Madonnina con il Bambino Gesù in braccio… Sicuramente Provenzano sarà stato in quel luogo, in un luogo religioso, e mi ha portato questo pensierino. Madonnina che io ancora tengo conservata”. Dunque Lo Verso rivela di aver ricevuto in regalo da Provenzano una statuetta della Madonna col Bambino proveniente da un “luogo religioso”, dove lo stesso “sarà stato”. Ma le dichiarazioni del collaborante aprono uno scenario del tutto inconsueto sul caso Manca quando lo stesso aggiunge: attraverso “questa Madonnina” si possono fare delle indagini “utili per riaprire il caso dell’urologo Manca”. L’esistenza della Madonnina, dunque, secondo Lo Verso, ha un collegamento preciso con la vicenda dell’urologo siciliano, probabilmente mediante “il luogo” visitato da Provenzano. Quale? Qualcuno parla di Tindari, località religiosa a pochi chilometri da Barcellona. Forse si tratta di una congettura, ma il riferimento a un’immagine sacra potrebbe essere una metafora per indicare il convento di Barcellona Pozzo di Gotto, dove Provenzano – secondo un’indagine del Ros – ha trascorso una parte della sua latitanza? Lo Verso alla fine del suo intervento dichiara: “Io tengo tutto conservato per potere dare luce su questo evento”. Una chiara disponibilità a vuotare il sacco? 2) Una telefonata che – secondo i familiari – Attilio avrebbe effettuato dal Sud della Francia nel periodo in cui Provenzano si operava a Marsiglia (e Marsiglia si trova nel Sud della Francia), telefonata che la Procura di Viterbo non ha ritenuto di verificare attraverso l’acquisizione dei tabulati telefonici risalenti all’autunno del 2003, sollecitati dalla famiglia Manca, ma distrutti dopo cinque anni (secondo quanto prevede la legge Schifani). 3) Alcuni tabulati telefonici intestati ad Attilio Manca e ritenuti “molto interessanti” per gli incroci che contengono: si tratta di atti che da dieci anni sono chiusi in un cassetto della Procura della Repubblica di Messina, in quanto “il titolare delle indagini di Viterbo, il Pm Renzo Petroselli, si è sempre rifiutato di acquisirli”. 4) La figura di Ugo Manca – cugino della vittima e personaggio organico alla mafia di Barcellona Pozzo di Gotto, una condanna in primo grado (con assoluzione in Appello) a quasi dieci anni di reclusione per traffico di stupefacenti – del quale è stata rinvenuta un’impronta palmare nell’appartamento del chirurgo. Ugo Manca è uno degli elementi centrali di questa vicenda per essere il trait d’union – assieme all’avvocato Rosario Pio Cattafi, rapporti organici con i servizi segreti deviati, oggi in carcere per mafia – fra Cosa nostra barcellonese, i Colletti bianchi della città e alcuni “amici” barcellonesi che accusano Attilio di essere un tossicodipendente. 5) Fra queste persone spicca la figura di Lelio Coppolino, il quale, dopo la morte dell’urologo – quando ancora non si parlava di mafia – si affrettò a smentire qualsiasi rapporto fra Attilio e l’eroina, salvo a smentire se stesso con una rocambolesca ritrattazione presa per buona dalla Procura di Viterbo. 6) La figura del padre di Lelio, tale Vittorio Coppolino – appartenente al circolo paramassonico Corda fratres e factotum di uno degli uomini più potenti di Barcellona, l’ex Procuratore generale di Messina, Antonio Franco Cassata – che una settimana dopo la morte di Attilio avvicinò i genitori di costui, dicendo: “Siete sicuri che vostro figlio non sia morto perché ha operato Bernardo Provenzano?”. Una frase pronunciata quando ancora neanche i magistrati sapevano che il boss corleonese era stato operato.