Chi ha depistato? Chi sono i mandanti? È solo mafia? Al di là della sacrosanta soddisfazione sull’ergastolo inflitto al boss di Trapani Vincenzo Virga, e al killer Vito Mazzara, condannati per essere ritenuti dalla Corte d’Assise di Trapani – in un processo iniziato l’11 febbraio 2011, che ha comportato 76 udienze, 177 testi, e 4 perizie – rispettivamente il mandante e il sicario (uno dei sicari…) del delitto del giornalista Mauro Rostagno, crediamo che adesso, a distanza di alcuni giorni dalla sentenza, sia il caso di ragionare a mente fredda. Non foss’altro per le omissioni, le menzogne, gli insabbiamenti istituzionali emersi nel corso di questi ventisei anni. Omissioni, bugie e insabbiamenti che – subito dopo il delitto, momento decisivo per l’accertamento della verità – hanno coinvolto importanti pezzi della magistratura e dell’Arma dei Carabinieri, con un coacervo di entità che in questa storia rappresentano qualcosa di più del semplice “contesto”: i servizi segreti deviati, la massoneria, Gladio, la P2.

Vincenzo Virga

Se non si comprende questo, l’assassinio di Mauro Rostagno rischia di essere ridotto a una storia di mera criminalità organizzata, che pure in questo delitto è presente, e che pure in quella provincia è potente. Potente fino al punto da giustificare depistaggi così clamorosi?

Rostagno fu assassinato nelle campagne di Valderice il 26 settembre 1988 da un commando armato fino ai denti nei pressi della comunità per il recupero dei tossicodipendenti “Samàn”, fondata alcuni anni prima dallo stesso giornalista, assieme all’”amico” Francesco Cardella. Fu ammazzato mentre tornava dagli studi di Rtc, emittente televisiva dalla quale – da un paio d’anni – denunciava il micidiale intreccio fra mafia, massoneria deviata e politica corrotta. Per gli editoriali e le inchieste sul delitto del sindaco di Castelvetrano, Vito Lipari, ma anche sulla loggia segreta “Iside 2” (operante all’interno del circolo culturale “Scontrino”, e collegata alla P2 di Licio Gelli), e sui torbidi affari della politica locale, era stato avvisato poco tempo prima “di non dire minchiate” dal boss di Castelvetrano, Mariano Agate.

Ma era tutto il sistema a non tollerarlo più, mentre la sua popolarità aumentava a dismisura, e lui negli ultimi mesi meditava un impegno in politica con i movimenti della sinistra trapanese. Era un momento cruciale della vita pubblica nazionale: la ‘Primavera’ palermitana di Leoluca Orlando sconvolgeva assetti consolidati da tempo per via dell’ingresso in Giunta dei comunisti, esperimento rivoluzionario di “compromesso storico” che, nell’Italia condizionata dall’anti comunismo, era costato la vita, pochi anni prima, a due personaggi di grande prestigio come l’ex presidente del Consiglio Aldo Moro, e l’ex presidente della Regione siciliana Piersanti Mattarella. Un’esperienza del genere sarebbe stata possibile in un avamposto strategico come Trapani?

La distruzione dei nastri

Quali furono i depistaggi?

Ad esempio, la distruzione – disposta dall’allora procuratore della Repubblica Antonino Coci – di importanti intercettazioni telefoniche intercorse pochi giorni dopo la morte di Rostagno, fra l’ex presidente del Consiglio Bettino Craxi e Francesco Cardella.

Cardella – deceduto tre anni fa – è uno dei personaggi fondamentali di questa storia, non l’unico. Un personaggio dalle mille sfaccettature e dalle mille protezioni istituzionali, sia in Italia che all’estero: ora (secondo alcuni) agente dei servizi segreti (addirittura vicino alla Cia), ora intimo amico dello stesso Craxi; ora vicino ai boss trapanesi Calogero e Totò Minore (predecessori di Virga), ora guru di una delle più grosse comunità per il recupero dei tossicodipendenti; ora ispiratore o addirittura autore occulto della legge Iervolino-Vassalli sulla punibilità dei tossicodipendenti, ora ambasciatore in Nicaragua ai tempi del comunista Daniel Ortega; ora possessore di un gigantesco impero economico, ora sospettato di traffici illeciti con la Somalia ai tempi del dittatore Siad Barre e del delitto di Ilaria Alpi; ora editore di riviste porno, ora grande amico di Mauro Rostagno.

Perché l’ex procuratore di Trapani dispose la distruzione di quelle bobine? Non lo sappiamo, ma sappiamo che qualcuno dei militari addetti all’ascolto telefonico definì “molto interessanti” quelle registrazioni. Così come non si capisce perché sparirono anche i brogliacci nei quali si faceva l’elenco minuzioso, con tanto di data e di ora, di quelle intercettazioni. E perché l’ex procuratore Coci, in quei momenti, si affrettò a dichiarare che “a Trapani la mafia non esiste”?

Un ritornello sentito anche dopo l’uccisione del sostituto procuratore Giangiacomo Ciaccio Montalto (appena cinque anni prima), e la scoperta della raffineria di eroina più grande d’Europa (tre anni prima ad Alcamo; un ricavato di 5 miliardi al giorno di vecchie lire), e il terribile attentato al giudice Carlo Palermo (anche questo tre anni prima), che per errore causò la morte di una madre e di due bambini. A Trapani la mafia non esiste… già.

Per farsi un’idea degli enormi “buchi neri” che hanno contrassegnato le indagini iniziali, basta leggere una “riservata” che l’ex procuratore di Trapani Gianfranco Garofalo (successore di Coci) spedisce nel 1996 (otto anni dopo) al collega di Caltanissetta: si parla di “fascicoli mancanti”, di “fascicoli inseriti con notevole ritardo”, di “rapporti acquisiti soltanto otto anni dopo dal Reparto Operativo dell’Arma dei Carabinieri”, solo perché “questo Ufficio” ne è venuto “casualmente a conoscenza”, ma anche di un rapporto dove “non c’è stranamente traccia di deposito ufficiale” e di ben “dieci faldoni” che dovrebbero essere allegati ma di cui “non vi è traccia”. Un esplicito riferimento viene riservato alla chiusura delle intercettazioni telefoniche tra la “Samàn” e Craxi, e anche allo “strano comportamento” del procuratore Coci, che ha mostrato “disinteresse” “per le telefonate in questione”. Non è difficile leggere, fra le righe, lo sconcerto per la “decisione presa dai Carabinieri di chiudere con esito negativo le intercettazioni in oggetto, con motivazioni a dir poco incredibili”.

 

Un potente di nome Cardella

Cardella in questa inchiesta compare e scompare, con in un gioco di ombre cinesi, malgrado le sette rogatorie internazionali formalizzate dai magistrati della Dda di Palermo, convinti che il “guru” di “Samàn”, sul delitto Rostagno, sapesse molto. Nessuno degli Stati coinvolti (America compresa) ha mai ritenuto di rispondere al pool del capoluogo siciliano.

“Cardella era convinto”, dice il suo legale Nino Marino, “che se si fosse presentato in Italia per deporre, sarebbe stato arrestato e condannato”.

Quindi se ne è rimasto in Nicaragua senza farsi sfiorare dall’idea di collaborare con la giustizia italiana, fino a quando, nell’agosto del 2011, a 71 anni, un infarto fulminante lo ha stroncato.

“Su una cosa non dovrebbero esserci dubbi”, dice l’avvocato Marino: “Cardella sapeva. Craxi era stato Presidente del Consiglio appena due anni prima, quindi possedeva gli strumenti per dare una attendibile chiave di lettura dell’omicidio e sicuramente ne ha parlato con lui”. Chissà quali erano le confidenze che fra il 1988 e il 1989 scorrevano sul filo telefonico Trapani-Roma? Si parlava “solo” di mafia?

 

La P2 e la Iside 2

Sì certo, la mafia. Che avrà pure i suoi santi in paradiso. Ma se un sottufficiale dei Carabinieri come l’allora brigadiere Beniamino Cannas, oggi comandante della tranquilla Stazione di Buseto Palizzolo (in provincia di Trapani), smentisce in udienza un suo stesso rapporto, nel quale – secondo una confidenza fattagli dallo stesso Rostagno, che aveva appreso la notizia dall’interno della “Iside 2” – si parla di un misterioso incontro avvenuto tempo prima a Campobello di Mazara fra il capo della P2, Licio Gelli, e i potenti boss Mariano Agate e Natale L’Ala, i conti non tornano. Perché Cannas preferisce rischiare di essere accusato di falsa testimonianza? Quale fu l’oggetto dell’incontro tra il capo della P2 e i mafiosi?

Sì, perché è strano che il capo della P2 parta da Arezzo per recarsi nientemeno che a Campobello di Mazara per parlare coi boss, e non viceversa. È strano che Cannas smentisca addirittura di aver conosciuto Rostagno, se non occasionalmente al bar o in piazza, quando anche le pietre sanno esattamente il contrario. È strano che Cannas – dopo la morte del giornalista – cerchi di delegittimarne la figura con un altro rapporto, dove si parla – altra singolare coincidenza – di politica corrotta.

Dunque, prima che Rostagno morisse, gli alti vertici della magistratura e dell’Arma sapevano che il direttore di Rtc era a conoscenza di queste circostanze, sapevano che stava indagando segretamente su questa “cosa grossa”, sapevano che Cannas era al corrente di tutto. Non solo non hanno fatto nulla, ma sono andati ben oltre. Come?

Licio Gelli

 

Il ruolo dei Carabinieri

Per i Carabinieri di Trapani – in primis il generale Nazareno Montanti, all’epoca comandante del Reparto operativo – il giornalista fu ammazzato dai “piccoli spacciatori” annidati dentro la comunità; un’azione di vendetta contro Rostagno per l’azione e che egli portava avanti contro la droga. Motivo? “Non può essere stata la mafia, il fucile esploso nelle mani del killer lo dimostra”. In quale libro è scritto che un fucile che fa parte dell’arsenale di Cosa nostra non possa danneggiarsi mentre spara? L’oltranzismo dei Carabinieri ostacolò per anni la tesi portata avanti dal capo della Squadra mobile Rino Germanà – scampato miracolosamente, qualche anno dopo, a un attentato organizzato da Cosa nostra – che fin dal primo istante aveva parlato apertamente di mafia.

Una coincidenza che pochi minuti dopo, in seguito alla perquisizione dei carabinieri, dal tavolo del giornalista sparì una audiocassetta dove Mauro avrebbe registrato i nomi di mafiosi e di massoni (fra cui Cardella), e una videocassetta (con la scritta “Non toccare”) dove avrebbe filmato l’atterraggio di aerei C130 – sfuggiti al controllo radar – sulla pista militare di Kinisia, contrassegnata da misteriose sigle non appartenenti all’Aeronautica militare (forse a Gladio)? Da quei velivoli, secondo alcune ricostruzione, si scaricavano delle armi destinate alla Somalia e ai Paesi dell’ex Jugoslavia.

Un argomento sul quale il fronte antimafia, in questi anni, si è spaccato più volte. Una parte sostiene che si tratta di una ipotesi possibile, un’altra di un’ipotesi falsa per depistare dalla pista mafiosa. Secondo qualche testimonianza processuale, il giornalista avrebbe ripreso quelle scene mentre sarebbe stato in compagnia di una donna, Heuer Leonie, moglie del generale dei Carabinieri Angelo Chizzone, elemento dei servizi segreti ed intimo amico dell’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga, ospitato frequentemente nella villa di Valderice dell’ufficiale. Durante il dibattimento la donna ha smentito di conoscere Rostagno. Ma allora perché anche il suo nome compare nella lista trasmessa alla Dda di Palermo con l’ipotesi di falsa testimonianza? È vero che Rostagno filmava il traffico di armi o c’è stata una sapiente regia che, miscelando circostanze vere con episodi falsi, ha creato la “suggestione del verosimile”?

Non si sa. Si sa che la Trapani di allora era un punto nevralgico del traffico d’armi e che rappresentava un coagulo di interessi inconfessabili dove convergevano le varie entità del crimine organizzato e dei settori deviati delle istituzioni. La Trapani di allora pullulava di agenti dei servizi segreti deviati e dell’organizzazione paramilitare Gladio, il cui responsabile, il maresciallo dei Carabinieri Vincenzo Li Causi (“agente con licenza di uccidere”), è lo stesso che alcuni anni prima aveva capeggiato, per conto di Craxi, l’”operazione Lima” – un’azione costata 5 miliardi di vecchie lire e giudicata illecita dall’opposizione – per difendere il presidente del Perù Alain Garcia dai guerriglieri di Sendero Luminoso.

Li Causi, dopo Trapani, lo ritroviamo in Somalia, dove viene ucciso in circostanze misteriose nel torbido contesto del traffico d’armi. Ma a Trapani, l’unico rapporto redatto da lui riguarda proprio la comunità “Samàn”. Sarà una coincidenza, ma fonti investigative sostengono che il centro per il recupero dei tossicodipendenti fosse in realtà – all’insaputa di Rostagno e degli altri ospiti – una cellula ben nascosta della Cia. Vero, falso?

 

Il fallimento dell’editore di Rtc

Ma le ‘coincidenze’ non si fermano qui. In un rapporto giudiziario dei Carabinieri di Trapani, datato 22 giugno 1987, si fa l’elenco degli insegnanti che fino all’86, quando scoppia lo scandalo della “Iside 2”, hanno tenuto i corsi dentro il centro “Scontrino”. Fra questi ci sono le mogli di un paio di magistrati trapanesi che, direttamente o indirettamente, hanno avuto un ruolo nella vicenda Rostagno.

Uno si chiama Carmelo Lombardo. La consorte teneva dei corsi per “assistenza agli handicappati”. Lombardo è colui che, dopo il delitto Rostagno, dichiarò fallito l’editore di Rtc, Puccio Bulgarella, legato ai Minore e fino alla metà degli anni Ottanta, con 20 miliardi di fatturato l’anno, era uno dei più ricchi imprenditori della provincia di Trapani. Dopo l’omicidio di Totò Minore, che lo garantiva soprattutto nel settore degli appalti, per Bulgarella cominciò un lento e inesorabile declino, un declino che la presenza ingombrante di Rostagno a Rtc probabilmente affrettò. “Il giudice Lombardo”, dice l’avvocato Marino, “oltre alla moglie che insegnava al centro ‘Scontrino’, intratteneva un intenso rapporto con il Gran Maestro della ‘Iside 2′, Gianni Grimaudo, e col suo vice Natale Torregrossa: lo documentano dei filmati durante alcune feste. Lombardo dichiarò fallito Bulgarella senza aspettare l’esito del concordato preventivo presentato dall’imprenditore e accettato dai creditori. Il Consiglio superiore della magistratura, ritenendo che ci fosse una incompatibilità ambientale, lo trasferì a Palermo”.

L’altro magistrato si chiama Massimo Palmeri. Ha indagato sul delitto Rostagno dal ’92 al ’95, anno in cui ha presentato richiesta per l’archiviazione delle indagini, successivamente respinta dal Gip. Anche la moglie di Palmeri dal’85 all’86 ha tenuto “corsi per segretaria d’azienda” all’interno del centro “Scontrino”, ma ancora nessuno a Trapani sapeva che dentro quel circolo operasse una loggia massonica molto pericolosa. Una coincidenza anche questa.

P.S.: molte delle verità accertate oggi dal processo, sono state anticipate circa quindici anni fa da un paio di libri sul caso Rostagno, che secondo fonti giudiziarie, sono stati utili addirittura alle indagini. Libri che – chissà per quale misteriosa ragione – sono stati “insabbiati” da giornalisti e da giornali famosi che sulla vicenda Rostagno continuano a non dire tutto. Ci chiediamo il perché.

 


 

Criscenti: “Sentenza riduttiva”

Gianfranco Criscenti dell’agenzia giornalistica Ansa e del Giornale di Sicilia è fra cronisti che hanno seguito passo passo il processo Rostagno.

Che idea ti sei fatto?

“Credo che la sentenza sia riduttiva. Dire che Rostagno sia stato ucciso da Cosa nostra e che sia stata solo Cosa nostra a volere la sua morte, non fa luce su una storia che ho sempre definito complessa”.

Perché complessa?

“Secondo la ricostruzione dei Pm Francesco Del Bene e Gaetano Paci, Rostagno muore perché parla troppo di Cosa nostra e segue il processo sull’omicidio del sindaco di Castelvetrano, Vito Lipari. C’è questo episodio noto, in cui il boss di Mazara del Vallo, Mariano Agate, imputato in quel processo, avvicina un operatore di Rtc e gli dice: ‘Di’ a chiddu cu ‘a varva di non dire minchiate’, dici a quello con la barba di non dire minchiate. Cosa nostra, secondo me, non uccide solo per questo, spesso uccide quando vengono toccati degli interessi economici, quando viene bloccato un progetto. In quel periodo a Trapani c’era qualche altro giornalista che denunciava i legami fra mafia, massoneria e P2: Aldo Virzì per esempio”.

La vicenda appare molto più complessa. Innanzitutto perché è provato che la mafia ha ucciso anche giornalisti che facevano delle denunce “politiche” (in primis Peppino Impastato), e poi perché non ha mai sopportato l’ironia e il sarcasmo. Per quanto concerne il caso di Aldo Virzì, bisogna riflettere riflettere sul fatto che è vero che faceva delle ottime denunce, però è anche vero che a un certo punto fu messo da parte dal suo stesso giornale. Quindi attenzione: secondo me non c’è una legge per qualsiasi caso. Le cose cambiano a seconda delle situazioni. È possibile che gli editoriali di Rostagno (anche quelli, ma forse non solo quelli) contro il sistema di potere abbiano pesato per decretare la sua morte.

“Rostagno era molto seguito in quel periodo, aveva una grande capacità di coinvolgere i telespettatori con un linguaggio unico, bucava il video”.

Faceva opinione. Per la prima volta a Trapani mise in crisi l’autorevolezza di Cosa nostra. Però tu dici che non basta a giustificare un delitto di quel tipo. Perché?

“Non  basta dare fastidio, essere malvisto”.

Vuoi dire che non basta a giustificare tutti questi depistaggi?

“Le indagini sono caratterizzare da una serie di misteri: intercettazioni scomparse, videocassette scomparse. Sono scomparsi pezzi balistici come i proiettili della pistola. Per uccidere Rostagno sarebbe stato utilizzato un fucile calibro 12 e un revolver calibro 38. Uno dei due proiettili della pistola è scomparso la sera del delitto o uno o due giorni dopo: insomma il proiettile che si sarebbe dovuto trovare dentro l’abitacolo della ‘Fiat Duna’ di Rostagno non si è mai trovato. Il secondo, invece, è scomparso durante lo svolgimento di questo processo conclusosi il 15 maggio. Dal Gabinetto della Scientifica di Roma è stato inviato un plico senza legenda, senza timbri e quindi senza chiusure. Questo plico doveva contenere il proiettile della pistola, ma non si è più trovato: è stato smarrito a Roma o a Trapani? Non si sa. Il dato certo è che dei due proiettili del revolver non c’è più traccia”.

Chi ha depistato secondo te?

“Alcuni investigatori sono stati davvero reticenti: ricordo la deposizione del generale dei Carabinieri, Nazareno Montanti, che in udienza ha dichiarato: ‘Ero un passacarte di lusso’, volendo dire indirettamente che le indagini le conducevano i sottufficiali: uno di questi è Beniamino Cannes, di cui la Corte di Assise ha trasmesso gli atti della deposizione alla Procura distrettuale antimafia di Palermo perché ritiene che abbia mentito durante le tre deposizioni. Mi chiedo: perché si è depistato? Per tutelare solo la mafia? Credo che si siano voluti tutelare dei livelli superiori alla mafia”.

Chi è stato accusato di falsa testimonianza?

“Nel dispositivo della sentenza i magistrati hanno scritto che per quanto riguarda dieci persone, si dispone la trasmissione di copia delle deposizioni rese durante il procedimento da questi soggetti alla Direzione distrettuale antimafia di Palermo, in ordine al reato di falsa testimonianza. Si tratta di Beniamino Cannas; di Angelo Voza, sottufficiale della Guardia di Finanza; di Caterina Ingrasciotta, ex editrice di Rtc (moglie dell’imprenditore Puccio Bulgarella, ormai deceduto, che aveva rapporti con Giovanni Brusca, Angelo Siino, e i boss trapanesi Calogero e Totò Minore), la quale  ha detto di non essere a conoscenza di molte cose fatte dal marito; di Heuer Leonie, moglie del generale Angelo Chizzone, che sarebbe stata amica di Rostagno (ci sono elementi di frequentazione fra i due), e che, secondo la testimonianza del giornaoista Sergio Di Cori, avrebbe accompagnato Mauro all’aeroporto militare di Kinisia. Fra i dieci c’è la presenza di due esponenti della massoneria trapanese, Natale Torregrossa e Antonio Gianquinto; quindi di un ex giornalista di Rtc, su cui non è chiara la motivazione della falsa testimonianza; e infine di tre operai edili di Valderice che il giorno del delitto hanno consumato un pasto in contrada Roccaciglio, in una cava in disuso dove è stata trovata la Fiat Uno utilizzata dai killer: i tre hanno raccontato di essere andati nella frazione di Marausa per dei lavori che poi non avrebbero eseguito. Strada facendo, hanno aggiunto, avrebbero deciso di fermarsi, prendere della salsiccia in una macelleria e mangiarla. Solo che la macelleria contrassegnata sullo scontrino rinvenuto nella cava non è ubicata nella strada di passaggio, ma ben oltre. La macelleria è di un parente del boss Vincenzo Virga. In dibattimento i tre si sono contraddetti molte volte, si pensa che abbiano mentito. Anche la loro deposizione è stata trasmessa alla Dda di Palermo”.