Aveva ventisette anni Giovanni Falcone quando conobbe la mafia. Era il 1967, era reduce da Lentini, dove aveva fatto il Pretore. Quell’anno fu nominato sostituto procuratore a Trapani. E a Trapani si occupò subito di mafia, istruendo il primo processo importante, quello alla banda del boss di Marsala, Mariano Licari. C’era un armadio pieno di carte, gli fu detto: ‘Leggile tutte, farai il Pubblico ministero in questo processo’. Al cospetto di Licari confidò ai colleghi: ‘Oggi ho guardato in faccia il primo boss della mia vita’. Il primo di una lunga serie. Poi ci sarebbero stati i Minore di Trapani, gli Agate di Mazara del Vallo, i Rimi di Alcamo (che lui stesso contribuì a mandare al soggiorno obbligato), gli Zizzo, i Gullo, i Palmeri, i Capo, i Messina Denaro”.

Anni straordinari. Che vanno dal 1967 al 1978. Anni in cui il magistrato inizia una carriera straordinaria e si fa le ossa per combattere il crimine organizzato. Anni belli, anche dal punto di vista privato, spensierati, allegri. Partecipa a feste e ad incontri culturali, frequenta l’intellighenzia della città, imprenditori illuminati, avvocati, colleghi, psicologi, letterati. Diventa amico di un altro magistrato che alcuni anni dopo sarebbe morto, come lui, per mano mafiosa: Giangiacomo Ciaccio Montalto. Si reca a Palazzo di giustizia senza scorta. Insomma vive una vita felice.

A ricostruire l’inizio della carriera di Giovanni Falcone – che coincidono con il periodo trapanese – è lo scrittore Salvatore Mugno (decine di libri all’attivo), 52 anni, che per l’editore Di Girolamo pubblica “Quando Falcone incontrò la mafia” (prefazione di Dino Petralia, ex collega di Falcone, ed attualmente magistrato a Palermo).

Salvatore Mugno, "Quando Falcone incontrò la mafia", Di Girolamo Editore - 2014

“Undici anni molto intensi – dice Mugno –, nei quali emerge una figura inedita. Intanto si supera certa vulgata secondo la quale, a Trapani, Falcone facesse soltanto il giudice civilista. Non è così. Approfondire questo periodo è essenziale per capire la sua storia di magistrato. D’altra parte, lui stesso in più occasioni ha dichiarato che in quegli undici anni si era formato per combattere il crimine organizzato”.

E dal punto di vista privato, com’è il Falcone “trapanese”?

“Diverso da quello che avremmo conosciuto successivamente. Anni dopo, a Palermo, avremmo visto un Giovanni Falcone blindato, senza una vita privata e sociale. A Trapani è tutto l’opposto: ha una vita sociale brillante, spumeggiante, ricca, nella quale partecipa ad attività culturali, va in discoteca, gli piace il cinema, si reca alle feste di carnevale. La sua ex moglie era una grande trascinatrice, lo coinvolse molto. Il primo capitolo del libro infatti si intitola ‘Gli anni della dolce vita”.

Da dove hai tratto tutte queste notizie?

“Da processi, da interviste, da ritagli di giornale, ma anche da testimonianze dirette. Ho intervistato i magistrati Pino Alcamo, Mario D’Angelo, Francesco Garofalo, Silvio Sciuto, Dino Petralia, e poi diversi giornalisti come Giacomo Di Girolamo (figlio di un magistrato)”.

Nel libro parli dell’amicizia fra Falcone e Ciaccio Montalto.

“Ci sono molte foto inedite dove i due vengono ritratti. Foto di feste, di cene, di momenti spensierati ed anche professionali. Quando Falcone andò via da Trapani, Ciaccio Montalto e molti altri colleghi si rammaricarono molto”.

Ci sono episodi di quel periodo che ti hanno colpito?

“Un episodio che risale all’alluvione che colpì la città nel 1976. Quel giorno il magistrato, mentre tornava a casa (un appartamento ubicato in via Fardella), rischiò di annegare; si salvò per miracolo, facendo un bel po’ di strada a nuoto. Sbatté contro una panchina e si infortunò”.

Cosa ti ha incuriosito di più di quegli anni?

“La grande tenerezza di Falcone verso i bambini. Nel libro emerge in diverse parti”.

E della vita professionale?

“La riservatezza. Lavorava moltissimo anche d’estate e fino a tarda sera, era velocissimo nell’espletare i processi, studiava tanto anche a casa”.

Era consapevole della sua straordinaria caratura di magistrato?

“Assolutamente no. I suoi amici sono concordi nel dire che non fosse ancora consapevole di essere Giovanni Falcone”.

A Trapani si era fatto dei nemici?

“Quando andò via non tutti si comportarono da amici. Bisogna considerare che all’epoca istruì diversi processi contro i politici locali: quello per lo scandalo dell’Istituto autonomo case popolari, e quello per le ‘tombe d’oro’. Vennero coinvolti sindaci, assessori e consiglieri comunali. Logico che avesse dei nemici”.