Nel novembre del 2011, quando quasi tutti i partiti dell’arco costituzionale designarono Mario Monti alla presidenza del Consiglio, scrissi un post su facebook per evidenziare che il centrosinistra, con la scelta del “professore”, stava compiendo l’ennesimo suicidio che avrebbe avuto l’effetto di salvare il Cavaliere, con l’aggravante che il Berlusca sarebbe tornato rigenerato un anno dopo.

Un post senza pretese, che si chiudeva così: “Spero di sbagliarmi”.

Volevo dire che con la scelta di non andare ad immediate elezioni – con un Berlusconi inviso alla stragrande maggioranza degli italiani e alle cancellerie di tutto il mondo per il disastro in cui aveva trascinato il Paese – il centrosinistra avrebbe dato il tempo al Cavaliere di riorganizzarsi, con due rischi concreti: di riconsegnargli il Paese dopo oltre un anno, oppure di dargli la possibilità di recuperare consensi che gli avrebbero consentito, in caso di sconfitta, di rendere ingovernabile il Parlamento, e di condizionare l’attività del governo nel caso in cui si fosse formata la Grande Coalizione tra i partiti più importanti (tra cui il suo).

“Adesso vedrete che Berlusconi lascerà il ‘lavoro sporco’ al Professore, gli voterà tutti i provvedimenti, e fra un anno, quando gli italiani saranno ben spremuti, tornerà alla carica, prenderà le distanze dal governo Monti, prometterà l’eliminazione delle tasse, e molti ci cascheranno nuovamente”. Questo scrivevo un anno fa.

E proseguivo: “A quel punto il Pd si troverà schiacciato tra il Cavaliere e il Professore, il quale, con la benedizione del Vaticano, detterà le sue condizioni alla sinistra, che per governare avrà bisogno di lui”.

Oggi, se da un lato Monti ha ridato credibilità ad un Paese che all’estero veniva deriso quando si presentava con il volto di Berlusconi, riuscendo a ridurre lo spread, dall’altro ha disossato quel ceto medio che rappresenta la spina dorsale di questa Nazione, che su questa categoria di persone ha sempre contato per far ripartire l’economia. Un ceto medio messo in ginocchio dalla politica scriteriata del Cavaliere, e messo definitivamente al tappeto dai colpi micidiali di Monti, il quale, per rimettere in sesto l’economia, non ha avuto il coraggio di fare l’unica cosa che avrebbe dovuto fare: una patrimoniale per i più ricchi. E quando in Parlamento si è affacciata questa ipotesi, il Cavaliere ha ghiacciato tutti: “Se Monti mette la patrimoniale, il Pdl lo farà cadere un secondo dopo”. Una frase che ha legittimato l’ingiustizia di togliere ai poveri per dare ai ricchi, una frase che Monti, mediante un messaggio alle Camere, avrebbe dovuto denunciare a tutti e dimettersi subito dopo, una frase dalla quale il Professore si è fatto condizionare per vivacchiare e per restare aggrappato al potere. Invece di mettere con le spalle al muro il Cavaliere, si è fatto ricattare da lui. Monti – da “tecnico” – avrebbe potuto dettare le sue condizioni. In fondo erano stati i “politici” a chiamarlo per risolvere i guai prodotti da loro, lui avrebbe potuto dire: “O si fa come dico io o me ne vado”. Invece è diventato un “politico” anche lui.

Proviamo a immaginare lo scenario politico se Monti si fosse sottratto al ricatto del Pifferaio: avrebbe fatto la patrimoniale, sarebbe caduto, avrebbe denunciato tutto questo all’opinione pubblica, si sarebbe candidato alle successive elezioni, e avrebbe fatto il pieno di voti. Invece ha preferito sottostare a quel diktat.

Risultato: nelle sedi Caritas delle grandi città italiane (dove gli affitti degli appartamenti sono alle stelle e il costo della vita è altissimo) i “monoreddito” (insegnanti soprattutto) fanno la fila per un pasto caldo o per dei vestiti usati.

Mentre nel novembre 2011 scrivevo quel post, dalle redazioni dei giornali più importanti – tranne dal “Fatto quotidiano” e dal “Manifesto” – partivano elogi sperticati verso Monti: tutti ad inneggiare alla sobrietà, alla competenza e alla serietà del Professore.

Eugenio Scalfari

A distinguersi in tale compito era il fondatore di “Repubblica”, Eugenio Scalfari, grande giornalista che ho sempre apprezzato per le battaglie condotte contro Andreotti e contro Craxi negli anni della Prima Repubblica, e contro Berlusconi negli anni della Seconda. Battaglie straordinarie che hanno contribuito ad informare milioni di italiani.

Ad attenuare notevolmente il mio apprezzamento verso di lui sono stati – all’inizio degli anni ’90 – gli attacchi al sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, quando questi, dopo avere contribuito, con le sue denunce dall’interno della Democrazia cristiana, a fare implodere il sistema politico-mafioso della Prima Repubblica, si accingeva a creare “la svolta” attraverso la “questione morale” e la partecipazione di una Società civile culturalmente ed eticamente illuminata. A questa svolta – preparata assieme a personalità straordinarie come Antonino Caponnetto, Nando dalla Chiesa, Alfredo Galasso, Diego Novelli e Claudio Fava – Scalfari oppose un secco no, demonizzando Orlando e ridimensionando il movimento che egli, dopo essere uscito dalla Dc, aveva fondato: “La Rete”.

Proprio allora si capì che fino a quando si denuncia il sistema dall’interno vai bene, ma quando ne esci per fondarne un altro, diventi un nemico acerrimo. Proprio allora si capì che le guerre alle quali assisti contro questo o quel politico corrotto, non sempre sono condotte in modo sincero. A volte si tratta di “guerre fra bande” (in questo caso il gruppo De Benedetti contro il gruppo Berlusconi), da condurre obbligatoriamente dentro il recinto di un sistema che evidentemente continua ad essere funzionale a molti: alla fine il problema è se deve governare il Cavaliere o l’ala più destrorsa della sinistra, ma per favore, non parliamo di creare un nuovo sistema basato sull’etica.

La stessa cosa è avvenuta un anno fa. Grande appoggio a Monti, difesa strenua del Pd, difesa ad oltranza del presidente Napolitano anche quando – in seguito alla “strana” telefonata intercorsa con l’ex ministro Mancino sulla “Trattativa Stato-mafia” intavolata all’indomani delle stragi di Capaci e di via D’Amelio – il Capo dello Stato ha polemizzato duramente con i magistrati di Palermo; enunciazioni di tesi del tutto opinabili sul fatto che uno Stato – per evitare attentati – fa bene a scendere a patti con Cosa nostra; strenua demonizzazione dei movimenti alternativi al sistema.

Adesso Eugenio Scalfari è deluso da Monti. E lo dice attraverso le colonne del suo giornale. Perché? Perché Monti gli è scappato dalle mani, fondando un suo partito e fiondandosi come un falco sulla vita politica italiana. Cosa si aspettava?

Non sarebbe male se – da quel grande giornalista che è – il fondatore di “Repubblica” facesse una seria autocritica su qualche sua discutibile posizione che – al contrario delle sue grandi battaglie contro la partitocrazia – ha probabilmente contribuito a fare arretrare la storia recente e passata di questo Paese.